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Leopoldo Barboni, Cecina – Villa Guerrazzi, le sue vigne e il suo vino

Da Paolorossi

[...] Riaffacciamoci alla finestra della Cinquantina, che si chiama così perchè, certo anno, ogni sacco di grano, che fu seminato in quel podere, ne rese cinquanta. Mentre il Guerrazzi parlava, io lo consideravo estatico. Era alto, impettito, poderoso. Il corpo corrispondeva al solenne e gagliardo sentire del suo animo. Aveva le guancie accese per esuberanza di sangue sano; più che sano, leonino; gli occhi erano acuti e penetranti con espressione via via di schietta bontà; e la fronte, che ora si spianava ora si corrugava come per ispasimo nervoso, rivelava l' ingegno trapotente e gli scatti del cuore. Portava il volto rigorosamente rasato, ciò che mi faceva e mi fa ancora pensare dove mai, in qual fibra del suo organismo, quell'uomo vulcanico trovasse la pazienza di farsi ogni giorno la barba, da sé, come Napoleone il grande. Consideravo quella sua parrucca, e pensavo agli epiteti poco o punto vezzeggiativi che la sua anima inquieta aveva dovuto affibbiare a madre natura vedendosi spelacchiare in quel modo.

Tutte le fasi della sua vita mi passavano per la mente, chiare, parlanti, incalzantisi, come si vedrebbero sulla parete, di notte, le scene colorate rese dalla lente d'una lanterna magica. Ma più di tutte una mi colpiva. Sapevo che aveva le braccie ricamate di cicatrici. Eran colpi di stile che gli c'erano piovuti per gelosie feroci scoppiate non per contese letterarie o politiche : per contese di gonnella. E sì ch'egli fu in fama di misogino!... Piccinerie di cervelli! perchè, chi è che potrebbe ridire il fàscino che lui, giovine, la fronte già ricinta d'alloro per le pagine superbe della Battaglia di Benevento scritta a ventidue anni, bollentissimo nell'amore come nell'odio, aveva sulle donne?

E appunto quei colpi di stile gli avevano sforacchiate le braccia per cagion di una donna, la moglie di un mercante, bellissima quale l'aveva veduta lui nei suoi sogni di poeta e di romanziere, ma vana e " mobile qual piuma al vento", come dice l'aria del Rigoletto. Si chiamava Argentina.

E così con questa fantasima pel capo, e guardando l'uomo illustre, quasi mi veniva voglia di domandargli :

" Ma perchè dedicare a quella fatua mercantessa l' Assedio di Firenze, " il poema sacro alla rigenerazione d'Italia ", come lo chiamò Giambattista Niccolini ? Quale discrepanza! "

E l'Assedio, infatti, porta questa dedica : A N. G. A. Monogramma che fece e fa e farà sempre lambiccare il cervello dei più.

Dopo che per qualche tempo mi ebbe parlato di sé e delle cose sue; dopo avermi additato un bel ritratto d'Alfredo Cappellini, l'eroe livornese che a Lissa, " sdegnoso sopravvivere alla mancata vittoria, sé e gli annuenti compagni sprofondò nel mare ", giusta l'epigrafe guerrazziana; dopo cinque o sei pizzicotti nelle carni flosce d'Italia; dopo una meravigliosa esplosione di parole in lode di Garibaldi, " il quale però aveva perduto un istante il cervello correndo in aiuto di quei tisici di francesi, che per tutta ricompensa lo avevano insultato a Bordò " : il grande scrittore volle bevessi del vino delle sue vigne, e me ne mescè egli stesso un bicchiere. Poi menatomi alla finestra, di cui spalancò le impòste che teneva socchiuse a mitigare le trafitture del mal del ciglio, mi mostrò con un gesto largo del braccio i suoi possessi.

Fu vanità? Non lo credo. Piuttosto volle dirmi: Ecco dove l'uomo che ha patito esilii e galere per la causa della libertà, e le ha consacrato tutto il suo ingegno, viene di tanto in tanto a mendicare un po' di quiete all'animo esulcerato !

Perchè se è vero ch'egli fu ambiziosissimo, è anche troppo vero che l' Italia composta a libera nazione obliò indecentemente che i trenta capitoli dell' Assedio erano stati formidabili avvinghiamenti della coda di Minos al petto e alle terga dei croati e delle altre sozzure del dispotismo.

Riaffacciamoci.

La mia occhiata avida e profonda non fu meno larga del largo gesto del Guerrazzi. Campi e campi dovunque, limitati, in faccia, dal fiume Cecina; a destra, in lontano, da una boscaglia di pini, da sterpaie e ginepreti morenti nell'aridità della spiaggia del mar Tirreno. Un lungo stradone dirittissimo e silenzioso porta là in fondo a quella scena fieramente silvestre e maremmana; e per quello stradone, fra quelle boscaglie, fra quei cumuli di arena coperti di prunaie frustate dai venti impetuosi, fra gli ululati delle onde flagellanti quei greti, io immaginava il fiero scrittore andare su e giù durante le febbri dell'animo e gemere e imprecare come il Pieruccio dell'Assedio. E mentre la visione m'andava pel capo, egli mi era di lato, e ne sentivo l'alito nel collo !

Ma la sera incalzava, cosicché, sebbene io fossi come magnetizzato innanzi a quella figura maestosa dall'occhio acuto e benevolo e dall'eloquio purissimo e incantevole, me gì' inchinai dicendo :

" Ella soffre, e mi parrebbe di meritare la maledizione di tutti gl'italiani s' io non la lasciassi ; con la calda preghiera bensì di coricarsi per tempo e vincere cotesto mal del ciglio, che non ha diritto di torturare una testa che chiude " la prima fantasia d'Europa ".

" Ne hanno dette tante sul conto mio ! " mormorò stringendomi forte forte la mano.

[...]

( Leopoldo Barboni, tratto dal racconto "In Villa da F.D.Guerrazzi" dal libro "Geni e capi ameni dell'ottocento", Bemporad & Figlio, editori, 1911 )

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