Ho inziato a leggere un nuovo libro, dedicato alla comunità romea (rum, greco-ortodossa) di Istanbul: Les Grecs d’Istanbul et le patriarcat œcuménique au seuil du XXIe siècle. Une communauté en quête d’avenir (I greci di Istanbul e il patriarcato ecumenico alle soglie del XXI secolo. Una comunità in cerca di avvenire) di Méropi Anastassiadou e Paul Dumont, pubblicato nel 2007 in greco e quest’anno in versione francese dalle Editions du Cerf. Una comunità che è demograficamente quasi scomparsa (i numeri accreditati parlano di circa duemila o tremila membri), ma che negli ultimi anni – sfruttando le operazioni di recupero memoriale del passato multietnico di Istanbul – ha però riacquistato prestigio e visibilità: soprattutto per merito del patriarca ecumenico Bartolomeo I, abile diplomatico e tenace difensore dei diritti garantiti dal Trattato di Losanna del 1923.
Faccio alcune brevi considerazioni. La prima, è che i romei si considerano qualcosa d’altro – forse di più nobile – rispetto a tutti gli altri greci, agli Elleni. La seconda, è che per scongiurare l’estinzione o l’assimilazione, i romei potrebbero cominciare a considerare i recenti immigrati ortodossi dall’Europa dell’est come preziosi alleati (finora non è stato così). La terza, è che comunque i greci di Istanbul non sono un blocco omogeneo, ma sono suddivisi in più comunità (alcune però praticamente scomparse): greco-ortodossi ellenofoni, greco-ortodossi turcofoni, greco-ortodossi turcofoni della chiesa nazionale turca, greco-ortodossi arabofoni provenienti da Antiochia, cattolici ellenofoni di rito orientale, protestanti ellenofoni della chiesa evangelica greca (senza contare il personale diplomatico e i greci a Istanbul per lavoro: i cui figli non possono però essere iscritti nelle scuole dell “minoranze”).
Vorrei scrivere qualcosa su di loro nei prossimi mesi, spero di averne l’opportunità.