Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non c’è da stupirsi che nel contesto delle acrobatiche giravolte sull’Imu, siano stati abbonati quasi due miliardi all’industria del gioco, riducendo drasticamente le multe che erano state comminate per non aver collegato le macchine alla rete dei Monopoli incaricata di controllarne l’attività, sfuggendo agli obblighi fiscali.
I magnati del jackpot, dieci società attive nel business dell’azzardo, in cambio di un versamento rapido del contante, otterranno una cospicua agevolazione: versando solo un quarto delle sanzioni stabilite a suo tempo dalla Corte dei Conti. L’ultimo dei benevoli condoni, che perfeziona quanto già previsto da Berlusconi, quello cui si deve la liberalizzazione del gioco d’azzardo online, quando il suo governo tentennava e oggi reso definitivo, secondo il movimento 5stelle troverebbe una motivazione nel rapporto perverso e consolidato tra gioco e politica.
Si sa che le società del gioco finanziano da sempre partiti e fondazioni, direttamente o indirettamente, le loro grandi famiglie vantano relazioni strette e quasi parentali con leader in carica o in penombra, tramite generose donazioni a VeDrò, il Think Thank di Letta che nel 2010 è stato sponsorizzato da due multinazionali, Lottomatica e la Sisal, società presieduta da Augusto Fantozzi, ex ministro di Romano Prodi. Sono stati anche “denunciati” i rapporti che intercorrono tra le industrie del gioco e la Fondazione Italianieuropei, non illegali certo ma inopportuni, così come non sono illeciti ma inquietanti i finanziamenti elettorali per le campagne che Snai ha elargito a Gianni Alemanno, Margherita, Udc, Ds, Mpa e Gianni Cupèrlo del Pd. E ci sono ex politici, parenti e famigli ben integrati nell’industria “ludica”: Augusto Fantozzi, presidente Sisal, Vincenzo Scotti, che lanciò “Formula Bingo” insieme a Luciano Consoli, uomo di fiducia di D’Alema. Francesco Tolotti dell’Ulivo che con Nannicini, Vannucci, Salerno e Gioacchino Alfano, nel 2007 riuscì a far modificare il Testo Unico che regola le slot-machine, gli onorevoli Laboccetta e Ponzellini, e Pellegrino Mastella, figlio di Clemente Mastella, che attraverso Sgai e Betting 2000 dei fratelli Renato e Massimo Grasso avviò altre aziende di gioco.
E’ certamente come dicono i 5stelle, parlando di alleanze opache con evidenti scambio di favori. Ma è probabile anche che a questa generazione – che interpreta la sostituzione della finanza alle produzioni, della crescita abnorme allo equo sviluppo, dell’improvvisazione funambolica alla competenza, del profitto ingiusto al ragionevole guadagno, della servitù precaria e arbitraria al lavoro – come la forma più innovativa della modernità, la roulette, anche quella russa, si addice, eccome.
È stato Robert Schiller, più sociologo che economista, a notare tra i primi la straordinaria affinità tra la bolla finanziaria e il gioco d’azzardo, quello vero. Tutti e due sono lievitati in maniera deforme e spropositata, tutti e due pur nutrendosi di speranze e inganni, sono legali. E ciononostante tutti e due sono segnati da una forte presenza criminale, che va al di là dell’indegno approfittarsi delle illusioni dei poveracci, nello stesso tremendo intreccio tra fenomeno ludico e fenomeno speculativo e che trova allarmanti sponsor in stati e governi, nelle vesti di gestori, biscazzieri, croupier e soci sostenitori.
E infatti a suo tempo, sempre grazie al governo del condannato due decreti avevano stanziato 285 milioni di euro a beneficio delle società che gestiscono l’azzardo, sotto forma di “premio di produttività” per il 2011 e come riconoscimento delle loro performance, il cosiddetto “raggiungimento del livello di servizio”. Alla BPlus di Francesco Corallo andrà il 24,3 per cento delle somma, a Lottomatica il 15 per cento, alla Hbg il 9,6 per cento, alla Gamenet il 12,8 per cento, alla Cogetech il 9,6 per cento, alla Snai il 7,1 per cento, alla Gmatica il 5,3 per cento e a Codere il 2,6 per cento, le stesse imprese che dovevano alle casse dello Stato quei due miliardi oggi largamente “abbonati”: Cogetech con 255 milioni; Sisal 245 milioni; Gamenet con 23 milioni; Snai con 210 milioni; Hbg con 200milioni; Gmatica con 150 milioni; Cirsa con 120 milioni; Codere con 115 milioni e Lottomatica 100 milioni.
Per dir la verità il brand non aveva bisogno di benefici aggiuntivi: I biscazzieri pubblici e privati, comunque legali, si spartiscono un bottino che a fine 2011 aveva superato gli 80 miliardi di euro, 16 volte il fatturato di Las Vegas e un bel po’ di manovre finanziarie. E’ un settore da 120 mila addetti, di fatto la terza industria italiana dopo Eni e Fiat, lo Stato incassa solo il dieci per cento, il resto si perde in rivoli difficilmente intercettabili: oltre 1.500 concessionari-gestori, le banche che fanno da collettori dei microchip, la malavita che fa la parte del leone. E se alcuni “gestori” sono trasparenti – per esempio Lottomatica e Snai – per altri con sedi all’estero, è impervio stabilire proprietari, intrecci societari, padroni occulti, alcuni dei quali solidamente collocati nella nomenclatura dei partiti.
E la crisi aiuta le illusorie promesse dell’azzardo: dal 2008, il volume d’affari del gioco d’azzardo di Stato (slot machine, videopoker, lotterie e scommesse sportive) è aumentato di 13 miliardi, passando dai 47,5 miliardi del 2008 ai 61,5 del 2010, il 3,7 per cento del Pil e il 2011 si è chiuso con il record di 80 miliardi.
E se i conti del fisco segnalano meno giocate e minori entrate, c’è un vero e proprio boom delle scommesse virtuali e dai casinò aperti a centinaia sul web, con più di dodicimila tornei ogni 24 ore e seicentomila euro al giorno spesi complessivamente dai giocatori italiani nei siti nazionali e un tasso di crescita del mercato di oltre il 150% annuo, tanto che tra il 2012 e l’inizio del 2013, i guadagni delle aziende che si occupano di giochi on line è infatti aumentato del 43% rispetto agli introiti che si registravano prima del 2008.
I giochi d’azzardo sono pericolosi prima di tutto perché i giocatori sono condannati a perdere. E lo sono per la natura dei biscazzieri. L’antimafia ha avviato un’indagine sui legami tra i Monopoli e soggetti con proprietà oscure, a cui di fatto viene affidato il ruolo di esattore fiscale, in un sistema di scatole cinesi: imprese che operano in Italia con azionisti esteri e con finanziarie in paesi come Svizzera, Lussemburgo o Antille olandesi.
Le indagini sui 10 concessionari legali dei cosiddetti skill games, i giochi di abilità su Internet – giro d’affari di un miliardo di euro – ha rivelato una rete inquietante di collegamenti di cui fanno parte i soliti sospetti, come i ragazzi Corallo, figli di Gaetano, considerato vicino al boss mafioso Nitto Santapaola, al centro di un’inchiesta sulla concessionaria Atlantis ora BPplus, per la quale sono indagati anche il parlamentare Pdl Marco Milanese, amico del cuore dell’ex ministro Tremonti, l’ex direttore generale della banca Enzo Chiesa il commercialista di Ponzellini, politici e professionisti legati a quell’entourage finiano che qualcuno ha bollato come la lobby ludica di An e oggi approdato ai lidi di nuovi protettori o di più saggi trasformisti. E si sa che dietro alla Codere (115 milioni di multa) non hanno bisogno di nascondersi le esplicite intrinsichezze con l’Unipol e con la cerchia di vecchi amici di D’Alema, come ammisero a suo tempo Consoli e Consorte, tanto che Unipol Merchant ha beneficato di cospicui versamenti la Codere.
Così politici, banchieri (quasi tutti i vertici delle società dell’azzardo sono pomposamente seduti in consigli di amministrazione di istituti di credito e fondazioni), manager dell’informatica hanno fatto Bingo: secondo l’ultimo rapporto periodico della Commissione Antimafia, per ogni euro incassato dallo Stato nel settore del gioco, 10 vanno alla criminalità organizzata. In totale la stima del giro d’affari sommando gli introiti leciti e quelli controllati dalle mafie, gira sui 180 miliardi l’anno. Per non parlare del business ancora più oscuro delle scommesse via Internet che fanno dell’Italia uno dei primi 5 paesi al mondo per volume di giocate. Si tratta della nuova frontiera della criminalità, alla pari con il giro vorticoso di appalti e accordi stipulati all’ombra della corruzione e del malaffare che circola intorno alla pubblica amministrazione ma inferiore al nuovo stile, quello della libera iniziativa “legale”. Serve a riciclare, serve agli evasori che usano le inopinate e indimostrabili vincite come pretesto per fulminanti e repentine ricchezze.
E’ proprio ora di rovesciare il tavolo e mettere in galera i bari, anche quelli legali.