Punto 1: beccare per caso la serie su Sky, in una serata noiosa in cui non hai nemmeno XFactor sul quale sfogare le tue frustrazioni;
Punto 2: scoprire che si tratta di una di quelle serie col mistero dentro il mistero dentro il mistero misterioso (stavo per dire “una serie lostiana”, ma vabbè… ci siamo capiti);
Punto 3: scoprire che nel mistero dentro il mistero dentro il mistero misterioso è coinvolto un bambino puccioso in modo strano e misteriosamente inquietante;
Punto 4: ritrovarsi a fine puntata a non aver capito suppergiù una ceppa di quel che è successo e passare dalle 4 alle 5 ore consecutive assillati da domande, interrogativi e ipotesi implausibili che spaziano da “cosa starà succedendo alla diga?” a “ma Camille era zoccola pure prima?”
Punto 5: realizzare che, tra una cazzata e l’altra, nel frattempo hai passato le ultime 5 ore a parlare di elaborazione del lutto, di parallelismi religiosi, di stilemi ed espedienti narrativi mai banali, atmosfere surreali, paragoni con Lost e Twin Peaks, e cose così…