Magazine Cinema
Francia, Germania, 2013
98 minuti
La sagoma di una ragazza nuda e sanguinante si aggira catatonica per le vie di una Paris by night avvolta da una pioggia battente, illuminata dalle luci artificiali; quelle ocra dei lampioni; quelle azzurre di un'ambulanza intenta a soccorrere il corpo di un uomo che si è appena tolto la vita. L'atmosfera è rarefatta, la soundtrack dei Tindersticks conturba, e sospende. In qualunque luogo l'aria diventa irrespirabile, malsana, e la penombra fagocita per tutto il film le vite che vi ci vengono rappresentate; corpi trasformati a mero oggetto per i propri piaceri più perversi, depravazione, tradimenti.
Uomini ridotti a carcasse ambulanti destinate a soccombere: in senso fisico, sul ciglio di una strada, nell'atrio di un appartamento. In quello più morale, nel rosso vermiglio di un materasso in pelle, portandone le cicatrici attraverso un tempo in cui svanisce ogni possibilità di redenzione...
Qualunque accostamento a un film di Claire Denis tentando di seguirne una comune costruzione logica, risulterà quasi sempre errato. Les Salauds, presentato all'ultimo Festival di Cannes, non fa eccezione al regolare manierismo della cineasta parigina che, perlomeno dai tempi dell'antropologico Cannibal Love (2001), si prospetta sempre più interessata a scandagliare il corpo, l'epidermide, per avvicinarsi pericolosamente all'anima mediante quell'ossessiva insistenza dei primi piani soffocanti, trasudanti umori e tormenti esistenziali. La cornice da cinema noir, in questo caso inganna, e porta in parte a svalutare un'opera la cui vera forza risiede nella sua componente ellittica, nella sua elegante radicalità che, nonostante mantenga un rigore estetico privo di particolare appariscenza, è oramai un consolidato marchio di fabbrica nella cinematografia della Denis, la quale tra l'altro continua ad affidarsi fedelmente allo stesso cast (qui c'è anche l'apparizione di un "quasi" inedito Sharunas Bartas*) e alla stessa collaborazione per il reparto sonoro. Un cinema che erige una struttura solo apparentemente di "genere", atta in realtà a (ri)generarsi come una sorta di mosaico smerigliato i cui tagli, vanno "ricuciti" esclusivamente captandone l'aspetto più sensoriale; Les Salauds è cinema che si anima nel buio e che alla fine, in questo suo obnubilamento e nella sua totalità d'insieme, possiamo tranquillamente riconoscere come percettivo. A conti fatti quindi, le varie vicende ed intrighi che ruotano attorno alla vita del protagonista, poco interessano e perdono di rilevanza di fronte a segmenti individuali certamente di maggior pregno, quali la silenziosa intimità dei corpi (e degli sguardi) degli amanti che si cercano nell'oscurità delle scale; l'incidente stradale causato dall'ottenebrante ricerca del piacere estremo. O anche, solamente quella cruda registrazione finale (aspramente criticata a Cannes), quella riscostruzione dei fatti: il sesso svelato nel freddo di un file digitale. Terribile nel suo palesarsi chiaramente senza alcun filtro ai nostri occhi, impotenti di fronte alla verità, ma anche innegabilmente attratti (inutile nascondersi dietro falsi moralismi) dal delinearsi sgranato di quelle immagini, destinate a corrodersi come la vita di chi vi è rimasto impresso.
* Dopo il ruolo di protagonista nel suo deludente Eastern Drift (2010), il lituano Sharunas Bartas sembra divertirsi maggiormente dall'altra parte della cinepresa. Vale la pena ricordare anche una sua fugace apparizione in Vanishing Waves (2012) di Kristina Buozytė.
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