Per quanto la maggior parte degli occidentali non neghi parole di critica verso la propria società e sia cosa nota lo stress che il lavoro e i ritmi cittadini generano, rimaniamo attaccati ai tanti oggetti che possediamo, come ai progetti che abbiamo o siamo convinti di dover avere, anche se questi ci creano più ansie che effettivi benefici.
Tra l’essere critici della propria società e l’astrarsi realmente dalla propria visione del mondo, insomma, la differenza è grande. Viaggiando questo salta agli occhi e si esemplifica in modo particolare nel fatto che rimaniamo immancabilmente meravigliati di fronte alla serenità in popoli di paesi in cui non c’è praticamente niente di quello a cui noi siamo abituati.
La sovrapposizione tra abbondanza materiale e serenità d’animo è ormai talmente un abitudine che pensare di vivere felici in una baracca, senza un igiene almeno decorosa, senza un cambio d’abito sempre pronto, o tecnologia che ci intrattenga, sembra impossibile.
Non parlo solo di tecnologia o vestiti all’ultima moda, però, ma di strutture sanitarie capaci di prendersi cura di noi quando ne abbiamo bisogno, o di economie sviluppate abbastanza da offrire un lavoro più o meno a tutti. Osservando dal punto di vista di una società terrorizzata, per se stessa e per i propri cari, che la salute ci venga a mancare, o che non dorme la notte per fare i conti di spese e risparmi, è impossibili farsi una ragione del fatto che popoli che vivono in povertà possano essere felici. Eppure, per contrasto, noi meglio di ogni altro ne dovremmo capire il motivo.
Ogni paese in via di sviluppo è istruttivo in questo senso e l’Indonesia non fa eccezione. Nelle campagne in particolare, dove proprio non si trova altro che case di legno e famiglie con miriadi di figli, tutti impegnati in attività legate alla terra o all’acqua, fa effetto notare quanto la gente appaia spensierata. Certo, non è facile captare i problemi reali di popoli con cui spesso non si entra abbastanza in contatto e con cui la barriera linguistica e culturale è forte e il tempo per cercare di penetrarla troppo poco.
Ho visto con i miei occhi, però, e specialmente tra i più poveri, la maggior parte della gente passare le giornate senza alcun tipo di ansia. Guadagnando o producendo ilnecessario per la giornata o poco più, oziando e stando in compagnia la maggior parte del tempo. La lentezza stessa, che è fra le caratteristiche principali del popolo indonesiano, può essere vista come segno di serenità: non c’è ragione di correre, non c’è da affrettarsi, perché manca il senso che ci sia un qualcosa da raggiungere o un dovere da adempiere. Si aspetta il prossimo figlio, magari l’ottavo, si gode dei giochi degli altri sette, dei loro sorrisi, tutto sorseggiando un tè freddo e fumando qualche decina di sigarette.
C’è da dire che una società che si pone obiettivi e si convince che sia questione di vita o di morte raggiungerli, come la nostra, può essere considerata una società migliore e più avanzata. Ma solo se capace di non perdere il senso e la misura di tali obbiettivi, ne il fatto che vi sia un desiderio realmente personale all’origine e la serenità come fine sostanziale.
Viaggiando fino ad oggi mi ha colpito il totale disinteresse di tutti qui per gli oggetti che trasportiamo. È di solito normale quando si viaggia in posti esotici cercare d non esporre troppo quel che ha più valore tra le cose che trasportiamo. Questo è un principio valido anche in molte grandi città europee. In Indonesia, dove il disavanzo economico fra noi e loro è enorme, dove con il corrispettivo di ciò che vale un Ipod o un paio di scarpe da trekking, si può mangiare mesi, non ho mai riscontrato alcun tipo di interesse per queste cose. Manca completamente il desiderio stesso per l’oggetto. È vero che la valutazione del prezzo di questi beni è magari vaga, ma è evidente che non è questo il fatto. Tutti hanno il cellulare per esempio, e incredibilmente l’Indonesia è la seconda comunità Facebook più grande del mondo, sanno quindi il prezzo di un Iphone o di un computer, è che non ne hanno bisogno e evidentemente non desiderano nemmeno il corrispettivo in contatti di questi oggetti.
Insomma viene da pensare che ci siamo davvero complicati la vita pensando di semplificarcela. E la tecnologia, oltre che riempirci la testa di cose superflue, ci distoglie da attività creative che renderebbero il nostro spirito più lieto, mettendo anche a frutto le nostre abilità. Ad esempio qui quasi tutti cantano e suonano. Per quanto la musica locale non sia neanche lontanamente sviluppata ai livelli della nostra, ogni giorno per passare il tempo e intrattenersi qui si canta e si suona. Sono canzoni semplici, magari d’amore o sui luoghi più significativi per una comunità, accompagnate da pochi accordi alla chitarra, ma è un attività diffusissima, a cui tutti partecipano attivamente.
Discorso simile si può fare per il cibo. Le varianti di una cena indonesiana sono minime: riso e noodles, con verdure, pollo o pesce. Ma è più che abbastanza. Per molti giorni questo è tutto ciò che abbiamo trovato lungo la via. E ci siamo adeguati, senza disperarsi. Alternare riso e noodles per pranzo e cena era più che sufficiente. Quando poi siamo arrivati in località più turistiche, dove abbiamo mangiato in ristoranti con menù occidentali, tornare indietro a quella alternanza è stato ben più difficile. Frustrante per il nostro desiderio di gusti più vari.
Insomma, less is more, come si dice in inglese. E ho trovato molto istruttivo questo ribaltamento di valori, per cui i miei oggetti, economicamente appetibili non sono di alcun effetto agli occhi degli indonesiani, mentre la loro vita frugale, anche se a piedi sporchi e senza lavandino, ma senza ansie, è per me ragione di invidia.