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Ma mal gliene incoglie: con la scusa di una festa tra studenti, Hasumi riesce a isolare l'area anche al traffico telefonico ( con mezzi usati per non far aiutare gli studenti tramite cellulare o internet nei compiti in classe ) e attua un piano di follia spaventosa. Folle ma lucido.
Che la mattanza abbia inizio.
Lesson of the evil è il titolo numero 88 della incredibile carriera di Takashi Miike, regista che a neanche 54 anni ha diretto più film di quanto riesca a fare il 99 % dei registi non in una vita ma almeno in un paio di vite.
E l'esperienza conta: il Miike di oggi è molto diverso da quello degli esordi, più maturo, più consapevole della propria impronta stilistica ma gli eccessi sono stati il suo pane quotidiano e continuano ad esserlo perchè lui non rinnega assolutamente nulla del suo passato.
Lesson of the evil, presentato al Festival di Roma dopo essere stato rifiutato da altre kermesse internazionali di cinema, è un film idealmente diviso in due in cui a una prima parte introduttiva che riesce a caratterizzare con poche ma congrue pennellate i vari personaggi in campo e un protagonista assoluto, il professore Hasumi, fa da contraltare una seconda parte in cui vengono fuori gli eccessi splatter che hanno da sempre contraddistinto lo stile di Miike.
Violenza esibita ma calcolata , fredda, terribile,senza il minimo senso di pietà al servizio di un personaggio , il professore di inglese Hasumi, uomo di bell'aspetto e di modi garbati ma in realtà pericolosissimo sociopatico e maniaco omicida, che non avrebbe affatto sfigurato in un film del primo Haneke, quello della trilogia della glaciazione o nei suoi Funny Games.
Il film di Miike muta pelle diverse volte nell'arco di due ore abbondanti: da commedia adolescenziale si trasforma prima in dramma scolastico, poi nel ritratto di uno spietato serial killer e infine in uno slasher tracimante sangue in cui il body count arriva a vette insospettate.
In Lesson of the evil però abbiamo un Miike diverso , come ho detto prima il suo stile è più maturo e consapevole e si vede soprattutto in una prima parte in cui i personaggi vengono scandagliati a dovere e non sono le solite figurine di cartone monodimensionali che si trovano negli horror odierni.
E anche quando mette in scena la violenza lo fa in modo quasi asettico, geometrico, uno stile controllato e per questo ancora più inquietante.
Così come è inquietante la figura del professor Hasumi, il male assoluto nascosto dietro una facciata rassicurante.
Originale l'uso della musica ( il brano ricorrente tratto dall'Opera di tre soldi di Brecht) e anche la prospettiva attraverso cui viene narrato tutto che nella prima parte è quella di Hasumi, nella seconda è quella degli studenti che cercano di sfuggire alla furia omicida del professore, una specie di Carrie di sesso maschile e che invece dello sguardo di Satana ha un fucile a pompa.
Insomma Miike dall'alto di una carriera inimitabile ancora non si sente arrivato, anzi riparte daccapo con una nuova voglia dirompente di fare cinema.
Lunga vita al grande Takashi!!!
( VOTO . 7+ / 10 )
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