Computer, internet e telefono ed ecco pronto lo zaino dei nuovi “nomadi”, dei lavoratori immersi nella “liquidità” delle relazioni professionali, un percorso “senza fissa dimora” dove la rotta viene impostata – learning by doing – dalla bussola della conoscenza.
Le professioni che ruotano attorno alla knowledge economy difatti basano le proprie attività sulla circolazione di differenti saperi e sull’acquisizione dell’informazione. Da sottolineare come l’informazione diventi vera risorsa nel momento in cui sussiste l’accessibilità da parte dei soggetti. Non è sufficiente che in un dato territorio sia presente una risorsa, essa deve divenire praticabile e conosciuta (capabilities) grazie all’attivazione di matching tra saperi e attori. La connessione diventa pertanto perno centrale per la circolazione della conoscenza e un ruolo fondamentale viene operato da tutti quei soggetti posti come relè nei networks dei flussi globali di informazione.
Per alcuni aspetti, il coworking può fungere da relè in quanto alcune delle attività si sviluppano proprio attraverso il matching. Innanzitutto, la condivisione degli spazi fisici tra differenti professioni può portare alla “fertilizzazione” dei saperi.
Se in passato si operava per comparti rigorosamente chiusi, oggi è la stessa professione knowledge oriented che stimola l’ibridazione tra molteplici risorse e attori poiché basata sulla creatività diffusa, ovvero sulla capacità di maturare relazioni in cui attori di settori differenti interagiscono fino a costituire un deposito di conoscenze condivise tale per cui si arriva a produrre una contaminazione tra professioni difficilmente replicabile.
La condivisione dei saperi alimenta la riproduzione della conoscenza e incentiva la cooperazione in quanto, sviluppando meccanismi di scambio delle risorse, genera fiducia nelle relazioni stesse. La fiducia, intesa come “aspettative positive in condizioni di incertezza” consolida il capitale sociale ovvero l’insieme delle reti e delle relazioni di cui un soggetto dispone. Questo tipo di capitale costituisce veicolo dell’informazione, l’elemento cardine delle professioni basate sulla conoscenza.
La cooperazione stessa può portare anche ad un fenomeno come la competizione costruttiva: difatti, durante l’interazione, lo scambio di risorse permette di individuare le skills di cui i soggetti dispongono. Al fine di consolidare posizioni di nicchia all’interno della community, una potenziale conseguenza – tipica soprattutto nell’ambito delle dimensioni distrettuali – potrebbe consiste nella ricerca di ulteriore specializzazione e differenziazione delle proprie competenze, identificabile con il miglioramento continuo delle prestazioni professionali.
Da tenere presente poi che nella dinamiche relazionali il tutto non è rappresentato dalla semplice somma delle parti, bensì chiama in causa anche gli effetti emergenti. Un parte di questi effetti rappresenta quel quid dal quale attingere nuove partnership, nuove alleanze, nuovi scambi informativi, generando così il capitale sociale che andrà ad alimentare il circuito virtuoso della progettualità. Ad esempio, il Project Cycle Management stesso chiama in causa la messa in rete di profili e risorse che, se opportunamente combinati, permettono di completare eventuali lacune in fase di programmazione e ideazione delle attività.
L’elemento innovativo del coworking può risiedere nella capacità di costituirsi come nodo di una rete glocale attorno al quale innervare l’esplorazione, l’attrazione e la gestione dei flussi di conoscenza. Andare oltre alla condivisione degli spazi fino a giungere alla programmazione di strumenti operativi di matching: incontri business to business tra professionisti e le imprese e la realizzazione di database territoriali rappresentano un esempio che si presta a tale dimensione, tipica delle agenzie di sviluppo locale.pica delle agenzie di sviluppo locale.
Articolo di Emanuela Perrone (socio lab121)