Si è quindi installato il nuovo governo. Dopo mesi di agonia politica, il nostro Paese torna ad avere un esecutivo che deve dare risposte sulla fragile situazione italiana e mettere mano a quelle riforme chieste da più parti.
La parola d’ordine di questo nuovo governo guidato da Enrico Letta, oltre alle già citate riforme sembra essere “crescita”; il neo-premier ha puntato molto sul rilancio dell’economia italiana, mirando ad un maggior bilanciamento con le misure d’austerità imposte dall’UE e dalla Germania in particolare. Non a caso, appena avuto l’incarico, Letta si è recato prima a Berlino, ovviamente, per poi passare per Parigi dove insieme al Presidente Hollande ha stretto una santa alleanza in nome della crescita nell’UE; ribadendolo anche durante il viaggio verso Bruxelles in visita a Barroso: “confermerò la scelta del nostro governo su cui ho ottenuto il voto di fiducia di mantenere impegni presi con l’Ue e fare all’interno di quegli impegni le scelte necessarie perché l’Italia abbia più spazi per la crescita”.
“Primavera europea”
Ma questa crescita è davvero attuabile? O meglio, è davvero possibile ammorbidire le misure d’austerità per garantire un po’ di fiato alla nostra economia già boccheggiante?
Non è di questo parere Wolfagang Munchau, che sul Financial Times di pochi giorni fa scrive un editoriale al vetriolo sulle promesse del Governo Letta definendole: “chiacchiere”. Munchau sostiene, fin dalle prime righe del suo articolo, che i propositi del nuovo esecutivo sono solo una strategia “cosmetica”, affermando che in questa nuova stagione:“… il principale cambiamento non sarà la politica in sé, ma il modo in cui viene venduta. Un buon esempio della nuova strategia anti-austerità basata sulle pubbliche relazioni è venuto dal discorso della scorsa settimana di Enrico Letta, il nuovo primo ministro italiano. ha inveito contro l’austerità, ma allo stesso tempo ha sottolineato il suo impegno per rispettare gli obiettivi di bilancio dell’Italia, come se le due cose fossero in qualche modo non correlate.”
Nell’articolo si fa un breve excursus dei risultati ottenuti dalle misure d’austerità attuate dall’Italia tra il 2010 e il 2013; sottolineando come il nostro Paese sia passato da un saldo strutturale del -3,6% del Pil nel 2010 ad un -0,2% nel 2013. L’aggiustamento accumulato è stato del 3,4% del Pil ma: “Questa correzione fiscale estrema ha causato la recessione in atto, la cui entità è stata sottovalutata dalla Commissione europea e dal precedente governo italiano.” La zona euro non ha abbandonato l’obbiettivo nominale del 3%, ma dato che l’attenzione si è spostata sui deficit strutturali, vi è una maggior flessibilità e “Inoltre l’Italia potrebbe uscire dalla procedura di deficit eccessivo, che fornirebbe una maggiore flessibilità con lo sblocco di fondi per gli investimenti che sono attualmente bloccati.”. La lieve moderazione del ritmo dell’austerità offre un vantaggio al nostro Paese che potrebbe rimediare ai danni causati dai tagli frettolosi imposti dal governo Monti in cui: “Il governo italiano ha applicato l’austerità non tanto consumando meno, ma semplicemente non pagando per i servizi. Italia ora ha bisogno di introdurre una nuova legge per consentire la ripresa di tali pagamenti.”
Se la zona euro fosse davvero intenzionata a fare un’inversione di marcia sull’austerità, sottolinea Munchau, l’unica via percorribile sarebbe la possibilità, per i Paesi creditori, di espandere i propri bilanci durante la recessione. Ma assistiamo invece allo scenario opposto. La Germania, che ha uno spazio di manovre fiscali molto più ampio di noi, ha intrapreso una manovra d’aggiustamento molto simile alla nostra. Questo perché è come noi obbligata a puntare ad un equilibrio strutturale, dal momento che, come l’Italia, ha fatto passare una legge sul pareggio di bilancio in Costituzione che impone ai governi il raggiungimento di deficit strutturali quasi nulli. “Il patto di bilancio europeo (fiscal compact), il trattato intergovernativo che è entrato in vigore a gennaio, lascia molta meno flessibilità ai paesi che cercano di raggiungere i loro obiettivi di riduzione del disavanzo rispetto agli accordi precedenti. Sotto il fiscal compact, l’Italia sarà tenuta a ridurre il debito di oltre il 2% del PIL ogni anno. Per raggiungere tale obiettivo, l’Italia avrà bisogno di enormi avanzi strutturali per quasi una generazione.”
Le conclusioni di Munchau non sono rosee ma difficilmente non condivisibili, la via per far cessare l’austerità passa dall’abrogazione del fiscal compact e dalla modifica delle politiche fiscali. Ma sarebbe ingenuo pensare che ciò potrà accadere. L’austerità, anche se presentata con parole al miele, è qua per restare.“E durerà per tutto il tempo in cui esisterà l’euro.”