Naturalmente è l’ennesima boutade che Ferrara lancia semplicemente perché privo di argomenti e di ragioni che non siano quelle di alimentare al meglio il corpaccione. Disarmato ormai anche di quel machete dialettico e mediatico che consisteva nella difesa appassionata del torto marcio, non può che rialzare la posta con dichiarazioni sempre più grottesche. Le quali tuttavia vengono registrate senza che i “colleghi” così superciliosi con Becchi sembrino avere qualcosa da dire: dopotutto il Brighella di Silvio è ancora potente.
Ma se Ferrara naviga ormai in un punto zero, conscio di un rio destino che lo obbliga ad essere servo di due padroni e filisteo con l’ambizione frustrata di essere Sansone, se gli tocca assistere alla decostruzione del suo piccolo mondo berlusconiano, di quella bussola amico nemico che sembra ormai una carta nautica del Cinquecento, non sceglie a caso le sue uscite e colpisce senza che le vittime se ne accorgano. In questo caso l’augurio di un’alba dorata nostrana è una chiara allusione al fatto che venendo meno l’opposizione gridata, ma essenzialmente moderata di Grillo, lo scenario è pronto per nuovi ingressi, assai più inquietanti. La vittima in questo caso non è certo Grillo, ma proprio Letta e quel Pd, ancora infingardamente ignari di aver perso anche questo appuntamento e di aver resistito solo dove i candidati presentavano un dna molto diverso rispetto a quello standard del partito. Quel Pd, quel Letta e probabilmente anche quella corte dei miracoli di Silvio, per non andare troppo in là nella zona collinare del potere, che fa finta di non capire che se anche l’elettorato grillino si astiene, vuol dire che il vulcano si sta caricando di magma e non il contrario.
Allora fa una previsione drammatica, facendola passare per una semiserio endorsement che ancora una volta lo fa apparire come un journaliste maudit.