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Bordin line - Il Foglio, 24.6.2015

Creato il 24 giugno 2015 da Malvino
«Si può esprimere un dubbio, o, se si preferisce, una preoccupazione sulla tenuta in dibattimento di una specifica ipotesi accusatoria senza essere trattati da collusi? O se ne deve dedurre che, una volta partita una indagine, nell’informazione non deve esserci spazio per voci critiche ma solo per corifei o sicofanti?». Domande che meritano una risposta, quelle con le quali Massimo Bordin chiude la sua Bordin line di oggi (Il Foglio, 24.6.2015), perché rivelano una genuina sofferenza – e nobilissima – nel considerare quanto sia degenerata in rissa la polemica sullipotesi accusatoria formulata dalla Procura di Roma a carico di Carminati & C., e come non si può esser solidali con chi lamenta che un’occasione di confronto sia sprecata in zuffa? In questo caso, poi, era possibile evitare fin dall’inizio di cedere all’irrefrenabile tentazione di delegittimare le posizioni dell’avversario: bastava leggere con attenzione l’art. 416 bis del Codice Penale, che non descrive i requisiti di una cosca mafiosa, ma quelli di una «associazione a delinquere di tipo mafioso». Ripeto: «di tipo». La questione non era relativa al fatto che l’organizzazione cui era a capo Carminati fosse o non fosse mafiosa, ma se rispondesse ai caratteri definiti dal testo della legge. Certo, la decisione spetterà al giudice, ma gli atti dell’indagine sono pubblici e consentono di farci un’idea. L’associazione era «formata tra tre o più persone»? Senza dubbio, sì. E «coloro che ne fa[cevano] parte si avval[evano] della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva[va] per commettere delitti [termine che in gergo tecnico non rimanda necessariamente ad omicidi], per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri»? Senza dubbio, sì. Soprattutto: l’associazione a delinquere, cui era a capo Carminati, aveva bisogno di autodenominarsi mafiosa per essere «di tipo mafioso»? Senza dubbio, no. «Comunque localmente denominate», associazioni di quel «tipo» configurano la fattispecie contemplata dall’art. 416 bis. Che possiamo ritenere bello o brutto, ma che è legge dello Stato: finché sarà vigente, merita venga letta per quello che dice, e per come lo dice, cosa che d’altronde non dovrebbe risultare affatto difficile per un brillante analista di cronaca giudiziaria come Bordin, peraltro paladino di una legalità che trovi forza esclusivamente nella lettera della legge, avverso ad ogni arbitrio interpretativo. Come si è sviluppata, invece, la discussione? Per meglio dire: come ha preso inizio? Con gli articoli di Giuliano Ferrara che mettevano in discussione l’ipotesi accusatoria, cosa pienamente legittima, con argomenti però speciosi, sostanzialmente miranti ad insinuare il dubbio che quell’imputazione sortisse da una smania di protagonismo della magistratura inquirente o, peggio, da suoi loschi intenti di destabilizzazione politica. E così la discussione ha preso la via del piano inclinato per lo schifìo. Non c’è traccia di coppole o di lupare, non ci sono morti ammazzati, non sono scoppiate bombe, è normalissimo malaffare, di quello che è parafisiologico ai margini di ogni amministrazione pubblica, e in fondo ineliminabile, via, c’era pure ai tempi di Orazio e di Marziale: questa, più o meno, è stata la natura degli argomenti prodotti per sbertucciare l’ipotesi accusatoria, ma soprattutto chi l’aveva formulata e, ancor più, chiunque la ritenesse fondata. Sicché un povero cristo che si fosse preso la cura di leggere le mille e dispari pagine del dispositivo della Procura di Roma, e l’avesse trovato solido, il che suppongo sia da ritenere legittimo almeno quanto il trovarlo fragile, era un visionario che vedeva piovre dove non c’erano. E lì, ad essere considerato visionario, uno poteva pure preferire di essere considerato corifeo o sicofante, va’ a capire se si tratta di epiteti più o meno insultanti.  Ora, sia chiaro, nessuno vuol negare che Travaglio sia una carognetta e che Il Fatto Quotidiano coltivi un’idea della legalità che eufemisticamente potremmo definire un po’ asfissiante, ma per dare a Cicerone quel che è di Cicerone, e a Catilina quel che è di Catilina, come si può negare che Il Foglio ami scadere, più spesso che spesso, nella più irsuta delle caricature del garantismo, ormai specializzato nella difesa d’ufficio dei peggiori fetenti? Certo, «si può esprimere un dubbio, o, se si preferisce, una preoccupazione sulla tenuta in dibattimento di una specifica ipotesi accusatoria» ed è inammissibile per ciò stesso si sia «trattati da collusi». Benvenute, perciò, e sempre, le «voci critiche», e su tutto, ma che la critica resti sui fatti. Poi, certo, muoverla da una tribuna che non sia affollata da eccentriche macchiette che perorano la causa di un «Carminati che invoca giustizia», definendolo «un Robin Hood del XX secolo», uno che, «se poteva aiutare qualcuno, non si risparmiava» (Annalisa Chirico – Il Foglio, 30.12.2014), potrebbe aiutare ad evitare che la propria voce sia confusa con la loro. Perciò, se in qualche modo ciò che qui ho scritto dovesse capitare sotto gli occhi di Bordin, confido nel fatto che non lo trovi scritto su una pagina de Il Fatto per risparmiarmi di essere bollato come corifeo o sicofante.

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