Lettera a Civati e Serracchiani (e sull’uscita di Adinolfi dal PD)

Creato il 29 settembre 2011 da Cristiana

di Cristiana Alicata.

"The time is now" by Asja Boroš

Caro Pippo, cara Debora,

scrivendo a voi scrivo anche a me e a tutti coloro i quali, con noi, condividono un’idea di Paese, un’idea di servizio della politica e contemporaneamente vivono da anni la medesima frustrazione di non vedere quasi nulla cambiare.  Questa non è solo una questione del PD, ma è anche e soprattutto una questione del PD. Ho scritto questa lettera prima dell’uscita di Adinolfi dal PD (che io volevo fuori per omofobia, non certo per eroismo generazionale), ed oggi sembra più attuale ancora.

Inutile girarci intorno, dobbiamo essere intransigenti con noi stessi come lo siamo con gli altri.

Quanto contiamo in questo partito? Al di là del nostro consenso personale, della speranza che intorno a noi si è creata, quanto riusciamo ad incidere sulle decisioni veramente importanti?

Non mi importa che qualcuno di noi arrivi a fare il parlamentare o il consigliere regionale. Mi importa che il PD sia più simile a come lo voglio, perché voglio che il Paese sia più simile a come lo desidero.

Sappiamo tutti, adesso, a 3 anni dalla sua fondazione, come il progetto del PD sia ad oggi, arenato nelle sabbie appositamente viscide e mobili di chi proviene dalle tradizioni dei partiti precedenti.

Incatenato ai gangli di chi detiene le fondazioni, di chi decide le nomine negli enti pubblici, di chi può distribuire lavoro ai burocrati di partito ed anche ai giovani o comunque di chi può promettere la “carriera” politica ed in ogni caso appare più “stabile” e “sicuro” di noi all’interno del partito.

Questo vale nel PD, ma sappiamo benissimo che vale per qualsiasi “sistema partito”. Nessun partito del centro sinistra è immune da questa malattia, con la differenza che alcune forze sono più giovani e quindi meno “inquinate” da questo meccanismo perverso di fedeltà e quindi di silenzio, meccanismo che sacrifica la politica, quella vera, sull’altare di altro. Nel migliore dei casi per “rimandare”, nel peggiore perché quella Politica non è più una priorità.

Se i partiti sono, come previsto dalla Costituzione, fondamento stesso della democrazia, oggi nella loro malattia sono il primo campanello di allarme dello stato della democrazia nel nostro Paese.
Come le rose messe ai piedi dei filari di uva ad ammalarsi prima della vigna.

Uno dei motivi per cui non cambiano le cose, lo diciamo da anni, è la mancanza di ricambio generazionale che, anche qui, riguarda tutto, non solo i partiti e non riguarda l’età anagrafica, ma l’età di militanza.

Riguarda il nostro partito più di altri.

La presunzione e l’arroganza di sentirsi dire di non essere all’altezza. Di cosa non siamo all’altezza? Di non sapere gestire la politica come Penati che era addirittura capo della campagna congressuale di Bersani? Non sarebbe stato meglio un qualsiasi inetto di noi di lui? Condannati a vedere che chi va avanti lo fa per fedeltà e quasi mai per merito. Di vedere che al massimo il merito è occupare posti in luoghi che non contano nulla. Di recente la ridicola nomina della sottoscritta in un direttivo politico regionale che non si è mai riunito e le cui decisioni sono state prese in qualche gabinetto (nel vero senso popolano della parola) della Camera dei Deputati: salvo smentite dell’ultima ora, infatti, il segretario del PD Lazio sarà eletto da un’assemblea balcanizzata dalle correnti, dove ci sono ancora membri passati all’Api o all’UDC e che ha già fallito l’anno scorso persino dopo un accordo da capobastone. Il Lazio, quella stessa regione, dove i risultati elettorali delle ultime elezioni sono stati disastrosi, solo che siamo riusciti a non parlarne grazie alla vittoria di Milano, Cagliari e Napoli (dove comunque siamo stati battuti alle primarie).

Vogliamo parlare della Sicilia dove appoggiamo Lombardo e una quantità incalcolabile di dirigenti, sia locali che nazionali, ha chiesto di spezzare quell’accordo e costruire una nuova alternativa?

O della Campania dove dopo la brutta figura delle primarie abbiamo scelto un candidato (qui con l’accordo di SeL bisogna dirlo) senza “ascoltare” ciò che accadeva in città e quindi consegnando la vittoria nelle sole mani di De Magistris, che certo non deve ringraziare noi per avere vinto.

Vogliamo parlare del sistema “Sesto”?

Del modello Marche?

Vogliamo citare di essere saliti per ultimi sul carro dei 4 referendum?

E di esserci ridicolmente senza simbolo su quello contro la legge Porcellum (e tutti sappiamo che sul referendum elettorale si sta giocando l’ennesima porco duello tra i soliti Walter e Massimo)?

La faccio breve. Queste cose le sappiamo tutti. E l’impotenza, la rabbia, lo sconforto, ma nello stesso tempo la voglia di cambiare l’abbiamo tutti e quindi vengo al dunque.

Sappiamo tutti che i partiti come il nostro, non di proprietà, sono più difficili da gestire e persino da conquistare. I congressi di un partito sono lunghi, sanguinosi ed incogniti. Nei circoli sbucano persone mai viste prima a modificare gli assetti voluti da quelli che più partecipano. Iscritti ombra che appaiono e scompaiono a domanda del capo bastone di turno.

Poi ci sono tante persone in buona fede. Poi ci sono tanti bravissimi democratici che o non sanno, o non vogliono sapere, o sanno e pensano che sia giusto, o sanno, pensano che non sia giusto, ma non sanno come opporsi. Poi ci sono i centinaia di bravissimi amministratori che fanno la differenza. Poi ci sono i molti deputati per bene.

Noi dobbiamo organizzare i buoni, questa la sintesi della mia richiesta per venire all’ennesimo incontro che non diventi una semplice kermesse. Non conto nemmeno più gli incontri che abbiamo organizzato insieme anche in diverse formazioni, ma alla fine percepiti come la stessa cosa dal nostro popolo: iMille, i piombini, il Lingotto2, Prossima Fermata Italia, Changes e adesso di nuovo a ottobre e novembre uno lanciato da voi due con noi e l’altro lanciato da Renzi in totale solitudine (la malattia del protagonismo solitario non risparmia certo la nostra generazione, anzi).

Penso che il vero leader non si evinca dal valore carismatico, ma dalla capacità di discutere con i pari. Non di strappare applausi, ma di dar seguito alle proposte con continuità, di saper tessere alleanze umane, di farsi rispettare. In questo Renzi mi sta deludendo profondamente prima ancora di entrare nel dettaglio di alcune tematiche politiche che considero dirimenti e fondamentali. In questo non riusciamo ad essere all’altezza dei vecchi volponi del nostro partito.

Ora ciò che voglio, che esigo dal 21 e 22 ottobre è un taglio netto.

Noi dobbiamo fare un gruppo e smettere di incontrarci per fare 4 chiacchiere e dirci quanto siamo belli. E non bastano le belle idee per il Paese che ogni volta vengono fuori. Dobbiamo dare gambe a quelle idee sulla mobilità, sul lavoro, sulle nuove energie, sui diritti civili, sulla scuola, sulla maledetta questione morale. Le gambe sono il Partito: o ce lo prendiamo o è inutile avere tutte queste belle idee.

Dobbiamo dare seguito sui territori a quella speranza che ogni volta viene a sbattere sulla nostre facce. Chi fa un congresso a Canicattì deve trovarci al suo fianco. Dobbiamo prendere posizione su tutto: sul Lazio, sulle Marche, sulla Sicilia, su Penati, sul Lavoro, sul Matrimonio gay. Dobbiamo essere quel PD che la gente desidera. Ma non solo sui blog, nelle interviste, sui giornali. Dobbiamo esserlo da sindaci, da governatori, da premier e da segretari e da iscritti e da militanti. Dobbiamo essere ovunque. Essere partito. Sano, nel caso.

Poche proposte che secondo me devono uscire da questo incontro:

  1. il segretario Bersani non sia l’unico a potersi candidare alle primarie. E’ una follia. Vendola vincerebbe e poi perderebbe contro Montezemolo. Il nostro partito può esprimere un candidato che recuperi fiducia, batta Vendola alle primarie e poi possa diventare premier evitando la deriva, ennesima, verso il Salvatore della Patria. E quindi chiediamo una modifica dello Statuto Nazionale in tal senso.
  2. Parta l’ organizzazione per il prossimo congresso nazionale, anche raccogliendo fondi per poterlo affrontare e organizzandoci a livello territoriale. Sia chiaro che uno di noi deve candidarsi alla segreteria nazionale e che non staremo più all’ombra di nessuno, per questo lanciamo una grande campagna di tesseramento al PD, oggi, adesso, spiegando che solo così ci potranno aiutare a riprenderci il partito. Ma diamoci un termine. Chiediamo fiducia ai nostri elettori fino al 2016.

Se non riusciamo a dare seguito a questa voglia, forte, di cambiamento del Paese e a rispecchiarla nella nostra azione interna al Partito per farle diventare, poi, speranza per il Paese come possiamo ancora parlare di rinnovamento?

Adesso le responsabilità sono tutte nostre. Adesso basta aspettare. Basta senso della responsabilità, con questa scusa un sistema vecchio e vetusto e persino corrotto in alcuni casi come la vicenda Penati ci insegna, continua a tenere le fila di questo Partito in sfregio a tantissimi iscritti ed elettori. Adesso Basta. Basta. Basta.

Noi dobbiamo cambiare il PD per cambiare il Paese non possiamo pensare che il cambiamento investa solo le nostre persone singole, le nostre posizioni, il nostro nome.

Verrò il 21 a Bologna. Sarò, di nuovo, con voi. Ma voglio che sia l’ultima volta in cui, poi, tornando a casa troverò tutto uguale a prima e siamo di nuovo tutti soli a sbattere la testa contro le cose concrete.

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iMille.org – Direttore Raoul Minetti


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