Carissimo,so, ho saputo, e ti penso. Ti penso perché tu sei uno zio strano. Sei stato l’amico del cuore di mio papà, sei cresciuto con mia mamma, le mie due zie, sei il padrino di mia sorella. Sei un personaggio pubblico, amato tantissimo. Copiato. Ammirato. Hai distrutto barriere. Sociali, politiche, regionali, artistiche. Eppure tu non sai chi sono io e io non so chi sei tu.Venivi da noi spesso. Ci baciavi, ci sorridevi con quel sorriso lì aperto, bellissimo. Chiudevi la porta dell’ascensore dietro a te, e con infinita naturalezza entravi nel mio mondo. Nel mondo della Franchina, nel mondo di Peppi, nel mondo delle bambine, del cane pazzo. Entravi, e tutto era assolutamente normale, familiare. Eppure non sai di me. Cioé, non è vero. Sai che sono quella di mezzo, quella che é andata in America, quella col figlio Down. Sai che mi vuoi bene. È sempre bastato, ma stasera ti voglio raccontare. Perché sei uno zio sconosciuto, nel senso che non ci conosciamo dentro. Eppure, mi hai sempre presentato al mondo come tua nipote. Per cui, eccomi.Non per buttarla giù dura, ma parto dai ricordi.Mi ricordo una sera a Bordighera, che papà ti aveva detto che avevo una ciste sul polso e tu hai cercato di schiacciarmela con cento lire. Ce l’ho ancora quella ciste, ma transit.Mi ricordo di te quando sei venuto a Stadera con Cochi e Renato ed è la prima volta che ho capito che voi quattro (papà compreso) eravate famosi, e mi sono un po’ vergognata.Mi ricordo quando io, le sorelle, la mamma, la Pupa e Paolo siamo andati a mangiare la pizza in via Aselli e io e Paolo facevamo la gara a quale papà era più famoso, e il cameriere ha detto che vi ha riconosciuti tutti e due.Mi ricordo quando telefonavi e dicevi, chi sei, come papà, e vi confondevo sempre.Mi ricordo che una volta ti ho telefonato perché avevo saputo che la mia amica si faceva le pere, e te ne volevo parlare, e tu mi hai tenuto al telefono per un’ora, e io non capivo cosa dicevi perché sfarfugli.Mi ricordo quando ho fatto ascoltare 'Ti te se no' a Dan, che è americano, e mi son messa a piangere perché a me quella canzone lì mi tocca una roba dentro che non c’hai idea.Mi ricordo che quandoè morto papà tu hai pianto prima di me, in bagno del nonno Mario, e io ti ho sentito e ho capito che era una roba gravissima.Mi ricordo che il giorno del funerale di papà mi hai insegnato a fare un uovo sbattuto, e è un ricordo dolcissimo. Quel giorno lì in chiesa eri vicino a me e mi hai stretto la mano da farmi male.Mi ricordo che dopo che è morto papà sei andato nel negozio del Giorgio Livi dei giovani e mi hai comprato una giacca rossa che era sei taglie più grandi di me, ma che a me teneva caldo come un abbraccio.Mi ricordo quando ho iniziato a fare il corso di chitarra all’Arci in via Amadeo e tu mi hai regalato la tua prima chitarra, piccola, che neanche il maestro di chitarra è mai riuscito ad accordare.Mi ricordo quando ti ho fatto vedere come facevo il do alla chitarra, con un dito in più, e tu mi hai detto che è come andare in via Lomellina da via Sismondi passando per Piazzale SusaMi ricordo che ti sei seduto sulla sedia preferita di papà, hai fumato una sigaretta, poi hai tirato fuori dalla tua tasca un tubetto di dentifricio e te ne sei sparato in bocca un bel toc.Mi ricordo quando mi hai pregato di non ascoltare Ramazzotti, che è un pirla.Mi ricordo quando io, te e le sorelle siamo rimasti a parlare fino alle tre di notte durante la serata dedicata al ventesimo anniversario della morte di papà alla Salumeria della Musica e io ho pensato, ecco, lui vede il mondo come papà. È matto uguale.Mi ricordo quando ti ho portato in studio il mio fidanzato americano che aveva il cagotto e tu me l’hai curato.Mi ricordo la tua casa in via Mameli, anche tu con l’ascensore in casa e tutti gli strumenti lì, in sala, e la cucina che aveva una tappezzeria con delle immagini della foresta amazzonica o non so cosa.Mi ricordo che ho fatto la babysitter a Paolo e a mezzanotte mi ha chiesto di fargli un uovo sodo.Insomma, i ricordi ci sono.Poi il presente, lontano da te, come sono lontano da Milano. Impantanata in un mondo che è quasi simile ma diversissimo, ad avere a che fare con tre figli, di cui uno con la sindrome di Down, l’autismo e tutti gli annessi e connessi. Non so se rendo, ma credo di si.Eccomi, adesso ti spiego:Malgrado tutto mi sono laureata in Sociologia a giugno e mi son sentita fighissima.Non c’è bisogno di sottolineare, ma modestamente ho pressione alta e colesterolo alto. Segretamente ne vado fiera.Corro 7 chilometri al giorno, per buttar giù la pancia delle tre gravidanze, ma anche le ansie e le paure di star lontano da Milano, o meglio dalla via Sismondi e dai miei ricordi balordi. Alcuni giorni funziona.Fumo di nascosato, ma mai più di tre sigarette che poi mi sento in colpa. Ho provato il dentrificio, ma mi beccano sempre (se hai un’altra idea, ti prego di condividerla…).Aspetto con ansia le telefonate delle mie sorelle e chiamo tutte le mattine la Moretti, che poi si preoccupa.Ho una figlia uguale a Dan (che mi toglie il fiato tanto quanto Dan) e una come una Viola, modello nonna Cicchinina, che mi scioglie, e mi fa ridere e mi commuove.Ho un figlio strano, ma con un cuore grande come l’amore infinito, che mi insegna la pazienza e il buonumore anche quando siamo nella merda. Dice cento parole, e sono essenziali. Bastano.Ho due cani. E un gatto.Ho una casa nel centro di Cambridge e una in campagna, dove vado con marito cani bambini ogni venerdì per trovare pace.Ho finito le mie sedute dalla terapista e sto scrivendo un libro sulla mia esperienza di papà strano, marito straniero, figlio balordo. Mi manca Milano tanto quanto mancherebbe a te, e a volte è un dolore fisico.Ascolto tantissima musica, che per me è la mia salvezza.Soffro di depressione, e spesso riesco a vincere la sua potenza, e sto bene. Altre volte mi aiutano le medicine, ma comunque sia va bene così.Sono Viola, come una Viola senza cavalli, che poi sarebbe incompleta ma forse è meglio così.Malgrado tutto, Enzo, sono felice: Dan, mio marito, è splendido: l’altra sera gli ho detto una roba e lui mi ha risposto transit. Sono soddisfazioni, altro che balle. Ha imparato le tue canzoni alla chitarra, e quando le suona io mi sento che in fondo non ci sono confini geografici, solo muri nei nostri cervelli. E io e te siamo riusciti ad abbattere il suo, di muro. Lui, americano, sano, vitamine, denti dritti. Proprio come gli americani dei film, presente? Beh, lui suona El me indiriss come la suoni tu (modestamente). Uno di Foggia, per dire, magari no. O di Berlino, Praga, cazzo ne so.Ci siamo sentiti a Natale e tu mi hai detto di essere nonno e mi è venuta una vergognosa punta di gelosia, ma anche di fierezza. Perché tu, come lo sarebbe il mio papà, tu sei fiero della tua nipotina, e lei è una nipotina fortunatissima. Spero solo che abbia un millesimo del tuo DNA per essere a posto.Insomma, Enzo Jannacci, te vori ben, e ti penso e grazie per essere lì, un punto fisso, bellissimo. Stringi i denti e combatti, ostia. Io sono con te, se può essere d’aiuto. Anche se no.
Con un affetto che non ho parole per dirtelo,Marina (quella di mezzo, col moroso yankee col cagotto)