Lettera a Lorella Zanardo

Da Elena
Gentile Signora Zanardo,
Mi chiamo Elena, ho ventitré anni. Oltre al Suo bellissimo documentario Il Corpo delle Donne che avrò visto minimo 5/6 volte, ho anche letto il Suo omonimo libro, di cui vorrei sollevare qualche critica che spero Lei apprezzi.Vorrei cominciare, però, col farLe i più sentiti complimenti per i primi due capitoli; il suo modo di argomentare sulla televisione e la descrizione particolareggiata dei programmi messi quotidianamente in onda mi hanno aperto gli occhi su molti aspetti, e il Suo punto di vista lo sento molto vicino al mio. In particolare una questione che Lei ha portato avanti anche in seguito e che mi ha dato molto da pensare è la famosa domanda noi vogliamo veramente questa televisione? Sinceramente non mi sono data ancora una risposta definitiva, però, prima di ragionarci, ero straconvinta che la gente alla fine volesse questo scempio. Ora non ne sono così sicura, anzi, prediligo l’esatto opposto. Credo che queste certezze non ponderate che avevo provengano tutte dalla televisione stessa, e quasi me ne vergogno.Parlando sempre della Tv, vorrei prendere in considerazione una Sua affermazione. Dopo aver giustamente scritto che spegnere la televisione è un gesto elitario, afferma che “il vero atto innovativo è, a mio avviso, guardare la televisione. Noi, insieme a chi la TV la guarda, offrendo il nostro sguardo critico”. Non ho capito bene cosa vuole comunicare, e se è il semplice tornare a guardare la televisione ma con sguardo critico e basta beh, non mi trovo d’accordo. Continuare a guardare la televisione, secondo me, significa essere telespettatore non solo di situazioni che si possono cogliere in maniera critica, ma anche di altro. Io, essere umano, non posso essere in grado di gestire tutto ciò che recepisco; la mia testa si riempirebbe inevitabilmente di ripetute canzoncine pubblicitarie, tormentoni del momento, mi rimbomberebbe di sicuro nel cervello l’omicidio di turno perché diventato il real tv del momento essendo sulla bocca di tutti i giornalisti, per non parlare di tutti quei messaggi subliminali di cui non mi accorgerei ma che s’infiltrerebbero inconsapevolmente nella mia mente. Non la farei nemmeno vedere a mia/o figlia/o, però allo stesso tempo sono consapevole del fatto che in qualche modo ne verrebbe a contatto rischiando che la segua totalmente da sola/o e impreparata/o. Questo mio pensiero si collega anche alle persone cui voglio bene che quotidianamente guardano la Tv, e credo si riallacci al Suo discorso. ...A mia/o figlia/o spiegherei ogni cosa su quella scatola che è in tutte le case italiane tranne qualche eccezione, magari guardando qualcosa con lei/lui e so anche che sarebbe costruttivo discuterne in egual modo con le persone adulte che non fanno caso a molte cose importanti. Nonostante ciò continuo a ritenere il “continuare a guardare la televisione” una non-soluzione, se non un arrendersi alla grande prova di buttarla giù dalla finestra. Chi riesce, lo faccia. Ammetto una cosa, che ho colto anche in Sue argomentazioni e che condivido in pieno: le persone che se ne infischiano di quello che succede alla società italiana e quello che trasmette la televisione solo perché non la guardano, a parer mio sbagliano. Io, dopo ventidue anni da telespettatrice, in accordo col mio ragazzo con cui convivo l’ho definitivamente spenta e l’abbiamo regalata a un suo amico. Questo non significa però che con questo gesto i problemi se ne vanno ed io sono fuori dal mondo; tramite la rete m’informo continuamente di tutto ciò che la televisione propone e trasmette (a volte purtroppo per il mio fegato!) e cerco con la mia iscrizione all’UDI, con i miei scritti, con le numerose discussioni tra amiche, di coinvolgere donne e uomini in profonde riflessioni.Un’altra Sua affermazione che mi ha colpito abbastanza è stata: “Le ragazze vogliono esprimersi attraverso il corpo. Per loro è una necessità forte e imprescindibile. L’espressione del femminile attraverso il corpo è una tappa fondamentale per l’evoluzione della donna e la condivido totalmente”, in seguito a un Suo racconto in cui una 18enne Le ha detto che L’ha vista in televisione truccata e vestita da donna e allora è venuta ad ascoltarLa. Quando l’ho letta, non l’ho presa bene, perché mi sentivo esclusa, come capita spesso, e l’ho reputata un’ulteriore categorizzazione verso il genere femminile. Capisco benissimo che una maggioranza di donne trovi fondamentale ciò che Lei reputa universale, ma non siamo tutte così, io non sono così, eppure sono donna a tutti gli effetti. Ho conosciuto ragazze che se ne fregano, come me, di vestirsi in un certo modo, che non si truccano e le uniche scarpe che hanno messo finora sono quelle da ginnastica. Per queste caratteristiche sono/siamo definite dei maschiacci o mascoline, sembra che nascondiamo la nostra femminilità per chissà quale motivo o trauma infantile. Io non mi sento per niente mascolina, solo perché sono cresciuta in una famiglia in cui l’aspetto era l’ultimo dei pensieri e avevo modelli di riferimento particolari. Secondo me siamo sempre al solito discorso: il significato del femminile. Noi donne nel corso della storia, mentre l’uomo rappresentava l’universale, siamo sempre state categorizzate come l’altro (Simone De Beauvoir), di conseguenza siamo state inserite in situazioni e requisiti in base alle esigenze di quell’universale. Ciò che percepisco è che il femminile, essendo sempre stato soggetto a forti identità per millenni quando potevamo non averne nemmeno una, si trova oggi ad affrontare il problema d’identità seguito da continui bombardamenti mediatici, e noi donne quasi ci sentiamo in dovere di assegnarci forzatamente caratteristiche femminili, anche se la nostra esperienza e la storia ci insegnano che, essendo in miliardi e tutte diverse fra noi, non possiamo essere inglobate in particolari aspetti, poiché essi mai racchiuderanno l’intera sfera femminile. Molto probabilmente per questo motivo il termine “femminile” potrebbe significare tutto e niente. Approvo perché esiste la “questione femminile” tuttora in voga e protagonista anche del Suo libro, come esiste il “genere femminile”, e riconosco la nostra storia femminile (composta in parte da soprusi di genere e razzismo, e in parte di dimostrazioni di grandi donne che nei libri di storia odierni non se ne parla), ma non riesco a dare una definizione di identità femminile.Non penso, ripeto, che la ragazza 18enne stia sbagliando per il suo modo di vedere le cose, la rispetto, non pretendo che siano tutte come me, ma ritenere il suo pensiero imprescindibile e fondamentale non può rientrare in un’ottica storicamente femminista. Bene, mi fermo qua, solo ora noto quanto ho scritto. Ci tenevo comunque a comunicarLe questi miei pensieri e a farLe ancora i complimenti per questo Suo impegno a favore di tutte noi. Abbiamo proprio bisogno di figure femminili di riferimento come potrebbe essere Lei, ultimamente.Un abbraccio.

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