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Lettera ad un detenuto straniero

Da Agueci

Caro fratello “lupo”, anche a te porto la mia pace, come Francesco d’Assisi, il santo della concordia, che la diede al lupo di Gubbio, facendolo conciliare con gli abitanti di quel territorio, non dopo averlo avvicinato, ammansito e “dialogato” con lui, ammonito.

Tu non sei un animale, sei una persona, uomo o donna, cattolico o appartenente ad un’altra religione, naturale o rivelata, hai una dignità. Per me tu, al quale mi rivolgo, non sei un detenuto qualsiasi, senza volto, tu sei (i nomi sono, in questo caso, volutamente ipotetici), Julio, Ben Alì, Hassan, Ivan, William, Louis, Josephine, Omar, Fatma… e tanti altri che tu rappresenti, pure italiani, perché anche loro sono forestieri in patria e vivono l’appartenenza com’estranei, preferendo il conflitto alla solidarietà, alla collaborazione, al dovere, alla libertà di sé e degli altri. Tu provieni dall’Albania, dallo Sri Lanka, Singapore, Marocco, Tunisia, Colombia, Nigeria, Brasile, Ecuador… e da altre parti del mondo.

Penso a te che sei stato condannato per traffico di stupefacenti, a te donna che hai offerto il tuo corpo alla mercé degli uomini e delle stesse donne che ti hanno resa un oggetto, a te trafficante di clandestini o scafista, a te rissoso, che vivevi procurando violenza fisica e sessuale o facendo rapine, a te condannato senza aver commesso alcun reato. Penso ad ognuno con la propria situazione personale di clandestino, irregolare, sposato o no, a te che mi dicevi spesso di non voler più tornare nella tua terra d’origine e che ti saresti fatto morire prima di entrare in patria, a te che hai alle spalle un figlio minore, a te che non volevi tornare al tuo paese perché saresti stato punito e avresti pagato ulteriormente la tua colpa. Penso a te che sei un convertito e per questo ti identifichi all’italiano credendo di avere già la cittadinanza, a te che riconosci e ripeti: “Ho sbagliato, non lo farò più”, che fai lo sciopero della fame e ti lasci sul corpo i segni di una lametta che affossi nella tua carne.

Preferisco parlare con te che, a volte, sei libero nel cuore ma rinchiuso in una cella ed evadi attraverso la pittura, la musica, la lettura, l’immaginazione…, che non con tanti che sono liberi nella loro fisicità, si possono muovere, andare a ballare, scorazzare per le strade, correre senza limiti di velocità…, ma sono incatenati dalle regole, da un “si riceve dalle ore alle ore…”, dalla loro presunta e falsa sicurezza e libertà. Tu sei una persona con tanti sentimenti, con la speranza nel cuore, non solo di uscire da un luogo lugubre e meschino, ma di essere salvato. Salvato dalla miseria, dal perbenismo, dall’odio, dalla rabbia che ti rode dentro…, per alzarti nell’aria alla ricerca di un uomo, di una donna, dei bambini, dell’infinito attraverso l’orizzonte, il cielo, di un Assoluto che ti possa liberare dalle catene interiori e portarti quella pace dei figli di Dio. Quella pace che è riequilibrio, accettazione e armonia di sé e degli altri, riconoscimento dei tuoi limiti, fiducia, capacità di dialogo, amore.

Tu sei il volto umano di Colui che disse: “La Verità vi farà liberi”. Sei un volto conosciuto, pensato fin dall’eternità, amato da Dio, dal Figlio dell’Uomo che disse per sé di non avere dove posare il capo. Non dimenticare tutto questo, anche se sei un clandestino fuggito dal “lager” del tuo paese, della tua miseria, della tua povertà economica, culturale, morale… Sei andato in cerca di libertà e hai pagato, con la peggiore delle ipotesi, la tua fuga con un carcere eterno, il profondo del mare è divenuto, infatti, la tua tomba definitiva. Qui hai trovato un Centro di permanenza temporaneo, una giustizia che spesso non guarda al tuo bisogno per quello che sei ma per quello che fai ed hai, qui ti accoglie oggi un carcere, peggio, in ogni caso, che dalla detenzione di un datore di lavoro che ti sfrutta perché sei straniero o ti ricatta perché irregolare.

Mi chiedi spesso: “Tu chi sei?”. Io lo so perché me lo chiedi: hai paura, mi identifichi con la “giustizia”. Vuoi essere sicuro con chi parli, e fai bene, ma non essere troppo pauroso. Hai dimostrato, infatti, che il rischio è il tuo forte, attraversando forse il deserto e sfiorando la morte. Io sono colui che la Provvidenza mi ha portato a te per dirti: “Coraggio, ce la farai!”. Ma chi sono io per dirti questo? Io conto niente, sono uno sconosciuto cittadino, anch’io straniero di questo mondo, ma il messaggio, la disponibilità che voglio darti è grande. Io sono colui che fai soffrire quando rifiuti di farti aiutare e ti chiudi nel tuo dolore, nei tuoi pregiudizi nei confronti degli occidentali, anche perché spesso sei vittima di loro. Ma sono colui che gioisco con te quando ti vedo gli occhi lucidi dalla gioia e osservo il tuo sorriso, colui al quale chiedi: “Quando vieni?”. Sono colui che ha cercato di organizzare per te una piccola struttura affinché non stia tanto tempo in attesa di giudizio perché straniero e perché senza un legale che si prenda a cuore la tua situazione, che ti faccia essere più tranquillo, almeno durante la tua detenzione.

Scusami, però, se tante volte la mia inadeguatezza umana non è capace di darti speranza.

Caro amico, ti dico spesso di non sprecare questo periodo. Oggi ti ripeto che questo è un tempo opportuno per riflettere sulla tua vita, sul tuo domani, sul tuo modo di essere presente nel mondo. Non smettere di combattere, anche dopo, contro le ingiustizie terrene, ma non aver paura: da soli siamo piccoli vermi impotenti, assieme, sostenuti dalla forza di Qualcuno che ha vinto il mondo, ce la faremo se comprenderemo Colui che ci ha detto: “Ero forestiero e mi avete accolto, ero carcerato e mi avete visitato”.

Anche tu preparati ad essere strumento di salvezza per gli altri che, come te e me, sono pellegrini in questo mondo e assieme faremo lo stesso cammino che ci porterà al superamento d’ogni ingiustizia ed oppressione. Quando un giorno c’incontreremo presso il tribunale del maestoso Giudice, scopriremo che il tuo volto ha il volto di Dio.

Ti abbraccio fraternamente, con la speranza che il Giudice imparziale saprà offrirci quella felicità tanto sospirata ma mai ritrovata sulla terra.

TP 10/11/2003

Salvatore Agueci


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