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Lettera ai consiglieri regionali

Creato il 27 agosto 2013 da Gaia

Prima, una considerazione di carattere generale, elaborata in questi giorni di divorante attivismo. Se un’azienda, un’associazione o un ente pubblico hanno bisogno di risparmiare sulle spese o di fare dei controlli in un certo ambito, assumono un professionista per farsi aiutare e lo pagano profumatamente. La consulenza è un mestiere, un’attività economica riconosciuta e retribuita. Anche chi amministra la cosa pubblica, che sia eletto o meno, è pagato bene per farlo.

Quando sono invece dei privati cittadini che spontaneamente impiegano tempo, denaro ed energie nella contestazione di un’opera o nella promozione di una scelta politica, magari evidenziando le carenze proprio di questi rappresentanti eletti, dei controllori o dei consulenti, facendo il loro stesso lavoro di ricerca, lettura carte, formulazione di proposte, oltre a quello di divulgazione delle informazioni – allora non solo non vengono pagati, ma sono osteggiati, criticati e calunniati, e spesso si sentono pure dire: andate a lavorare. Esiste infatti nella nostra società la percezione di attività utile come equivalente ad attività retribuita, quando è evidente che le due cose possono benissimo non corrispondere.

Ma quello dell’attivista è un lavoro! Un lavoro, tra l’altro, che migliora la gestione della cosa pubblica e fa anche risparmiare denaro di tutti! Ogni tanto mi dispiace pensare che per quello che faccio, io come tanti altri, non percepisco nulla, mentre c’è tanta gente retribuita per fare danni o per non fare niente. Non mi lamento: constato. Ho anche pensato a perché è così. Semplicemente, ci sono due tipi di competenze: uno legato alle cose che si fanno, e l’altro legato all’arrivare nel posto dove si prendono decisioni su queste cose. Spesso chi possiede il secondo genere di competenze (ci sa fare con la gente, ha carisma, è semplicemente uno squalo o un leccaculo o entrambe le cose) non possiede il primo genere di competenze. Ci sono tanti inetti al potere! Ricordiamoci infatti che chi sceglie le persone che decideranno spesso non le sceglie in base al primo genere di competenze perché non è informato (gli elettori) o perché non vuole spine nel fianco ma vuole signorsì a propria disposizione (i politici che nominano assessori e dirigenti).

Detto ciò, qui sotto copio una mail che ho mandato a cinque consiglieri regionali che hanno aderito alla campagna di Mobilità Nuova FVG: Giulio Lauri (SEL), Stefano Ukmar e Vittorino Boem (PD), Pietro Paviotti (Cittadini) ed Eleonora Frattolin (M5S). Se qualcuno mi risponderà vi farò sapere, ma ne dubito fortemente. Come dicevo prima, io non sono nessuno.

Buongiorno,
le scrivo a titolo di privata cittadina che si interessa alla questione del trasporto pubblico e in particolare dell’imminente nuova gara regionale per il TPL. Da anni sono attiva con il comitato Mobicittà a Udine per la promozione della mobilità sostenibile, ma è difficile uscire dal livello cittadino.
Il suo nome è sulla lista di quelli che hanno firmato l’appello di Mobilità Nuova, quindi penso che lei si occupi anche di questo tema. So che il canale migliore per contattarla sarebbe attraverso le associazioni, ma dopo mesi di sollecitazioni né Mobilità Nuova né le associazioni ambientaliste si sono rese disponibili a organizzare l’incontro che chiedevo. Provo quindi a scrivere.Premetto che sono un’utilizzatrice assidua del trasporto pubblico (non salgo su un’automobile da otto mesi e ho intenzione di andare avanti così) e quindi faccio esperienza diretta delle sue carenze: corse troppo diradate e quasi inesistenti la sera e i festivi, difficoltà di trasporto biciclette, aree non coperte e prezzi alti (ma se il servizio fosse migliore, quest’ultimo aspetto probabilmente peserebbe poco). Pur non avendone esperienza diretta, so che l’utilizzo dei mezzi pubblici per i disabili è di fatto impossibile, costringendo chi si muove in carrozzina a usare l’auto.
Le conseguenze di queste carenze sono l’inquinamento, il traffico, l’incidentalità, il consumo di suolo e la maggiore spesa pubblica e privata dovuti all’utilizzo eccessivo del mezzo motorizzato privato.
Sempre più persone si trovano in difficoltà economica e potrebbero decidere di rinunciare al possesso dell’automobile a favore di bicicletta e trasporto pubblico, più economici nel complesso. La società e l’economia stanno cambiando e la direzione in cui proseguire è quella di un maggiore finanziamento al TPL – invece si fa l’opposto, si taglia e si costringe tutti a muoversi in macchina. Debora Serracchiani si è impegnata a revocare i tagli al TPL, ma ancora non si hanno notizie su cosa esattamente voglia fare.
Tutti, persino i gestori, alle richieste di maggiori finanziamenti rispondono: ma se già gli autobus e le corriere viaggiano mezzi vuoti, perché aggiungerne altri? In realtà il problema è proprio questo: un servizio infrequente è peggio che nessun servizio. Poche persone hanno il tempo di aspettare mezz’ora per un autobus o due ore per una corriera. Chi deve muoversi la sera o la domenica con i mezzi pubblici spesso non ce la fa. Solo spendendo di più per aumentare le corse si può aumentare anche l’utenza.Due cose, a parte la necessità di maggiore finanziamento e di intermodalità con le biciclette, mi stanno particolarmente a cuore.Una è che la SAF, la concessionaria del TPL in provincia di Udine, ha distribuito tra i suoi soci nel 2012 un utile di 4 milioni di euro, di cui il 60% è andato ad Arriva, un’azienda privata di proprietà tedesca. Contemporaneamente il servizio provinciale veniva tagliato per un importo simile a quello degli utili. Com’è possibile che, in un momento di difficoltà in cui le risorse pubbliche sono scarse e il servizio è necessario, si permetta che un’azienda porti via milioni di utili all’estero mentre le corse si tagliano? Perché il contratto non la obbliga a reinvestire gli utili nel trasporto locale? O meglio ancora: perché non si dà la concessione solo ad aziende a capitale pubblico?L’altra questione è quella del servizio a chiamata, che sembra essere la direzione verso cui si vuole procedere nelle aree cosiddette a domanda debole. La mia opinione è che non esista una domanda debole ma solo un servizio debole: un servizio frequente e affidabile renderebbe il trasporto pubblico preferibile anche in aree meno popolate e più remote, o in orari non di picco. Trasformare il servizio pubblico in un taxi collettivo non ha senso: ha un’altra funzione.Come utente io non sopporto l’idea di dover telefonare e prenotare in anticipo per avere un autobus, trovandomi obbligata a prenderlo nel momento in cui l’ho chiesto, anche se i miei programmi cambiano. Così verrebbero meno i due vantaggi del servizio pubblico: quello, per i pendolari, dell’affidabilità quotidiana delle corse e quello, per chi compie viaggi occasionali e parzialmente improvvisati, di poter decidere all’ultimo momento su quale corsa salire. Il servizio a chiamata non va bene né per chi ha orari prevedibili né per chi non sa fino all’ultimo momento quando avrà bisogno di spostarsi.

Grazie per l’attenzione

Gaia Baracetti

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