Magazine Diario personale

Lettera alle ragazze di Hodgkin

Da Romina @CodicediHodgkin

Care ragazze di Hodgkin,

voi che siete ora come io ero anni fa, ventenni e “cancrenti” ultimamente penso a voi. Forse perché ultimamente mi state scrivendo in tante, molte più del solito, tanto che sto facendo fatica a rispondere a tutte. State sicure che risponderò singolarmente a tutte, ma mi ci vorrà un po’di tempo. Intanto, però, vi lascio una lettera collettiva, un pensiero per tutte voi. Penso a voi perché a volte faccio fatica a realizzare quanto fossi giovane quando mi sono ammalata. Però mi rendo conto di quanto siete giovani voi che mi scrivete e magari avete 18-20 anni, perché Hodgkin è così, le preferisce giovani. E’strano, se penso a me e al fatto che mi sono ammalata a 21 anni, mi dico “oh, sì, ero giovane”. Quando leggo le vostre mail e le vostre storie, invece, il mio primo pensiero è “oddio, no, così piccina!”.

In molti diranno a voi quello che così spesso mi sono sentita dire io. “Accidenti, che guaio, così giovane. Io, almeno, ho 40/50/60 anni, ho avuto modo di crescere spensierata, di vivere la mia giovane età, di gettare le basi. Ora la mia vita, per quanto incasinata, è bella che avviata”. Non sono d’accordo. O meglio, per certi aspetti è proprio così, ma per altri non è esatto.

Care ragazze di Hodgkin, sono sincera: io ho smesso di sentirmi giovane nel 2005, quando ho visto la prima barella coperta da un lenzuolo. Sotto quel lenzuolo c’era qualcuno che vent’anni aveva smesso di averli per davvero. Lì per me è cambiato tanto. io e la mia carta di identità abbiamo preso strade diverse in quel momento. Avevo il sentore della diagnosi. Stavo facendo il prelievo. Mamma era fuori dalla porta della medicheria e stava cercando di chiudere la porta perché aveva visto che stava per passare la barella e non voleva che io vedessi. Ma l’ho vista. E sono svenuta in medicheria. Da quel giorno, anche se ho vissuto i mesi della chemio con grande ottimismo e serena introspezione (perché con la malattia ho vissuto più serenamente che con tanti altri aspetti della mia vita), io ho smesso di essere giovane. Da quel giorno è iniziato il divario tra me e i miei coetanei. Un divario che si è allargato per molto, molto tempo. Anche perché m’ha pure detto sfiga, diciamocelo. Appena il tempo di finire la chemio, e mamma ha iniziato ad entrare ed uscire dagli ospedali, per poi entrarne e basta. Gli occhi gialli, la pancia enorme, le allucinazioni, i momenti in cui non ci riconosceva, i conflitti che non si sono risolti, le parole che speravo di sentire e che non ha voluto dire e tutto il resto. Altroché se c’era da invecchiare.

Forse anche voi vi sentite vecchie, anche se siete delle pischelle, come si dice dalle mie parti. Anzi, lo so che vi sentite vecchie, perché me lo dite spesso. E mi chiedete spesso quando tornerete come prima. Non ci si torna, stelline. Mai più. Sarete persone diverse e questo lo capirete presto.

Vedete, ragazze di Hodgkin, è vero che io ho perso quelli che tutti dicono essere gli anni migliori della vita. Li state perdendo anche voi, probabilmente. La spensieratezza senza esitazioni, la fiducia cieca in futuro che non può che essere eterno, la ferma convinzione nella propria immortalità non esisteranno più. Mai più. Basta. Ma c’è un ma. Anzi, ce ne sono tanti…

Io, in un certo senso, sono molto grata di essermi ammalata giovane. Perché? Perché ho 30 anni e mi amo alla follia. Sono una persona che si ama completamente, con tutte le sue pecche, la sua pigrizia, la sua incostanza, quella che per molti versi è una mancanza di indipendenza e tutto il resto. Con tutto questo io mi amo. Mi amo perché sono una persona serena e che non prova né rabbia, né rancore per la malattia. Nonostante tutto. Non smetterò mai di ripeterlo: siamo il frutto delle nostre esperienze, dolorose e felici che siano, e se io mi amo è anche grazie alla malattia. Se non avessi avuto il cancro sarei potuta diventare una stronza arrogante. Ero una ventenne asociale, furiosa ma troppo remissiva per imporre il suo pensiero, no, ho sbagliato, non lo avevo nemmeno un pensiero perché i pensieri nascono come fragili bolle di sapone e se queste bolle vengono fatte scoppiare dall’insoddisfazione e dalla rabbia non si possono sviluppare in solide sfere di vetro. Tutto il mio tempo e le mie energie erano riversate nel tentare di avere l’approvazione dei miei genitori. Ogni trenta che prendevo all’università aveva un significato ambivalente. Da una parte era fonte di enorme soddisfazione perché amavo quello che studiavo e mi piaceva ottenere quei risultati senza sforzo. Dall’altra parte, però, c’era l’inutile e stupido senso di trionfo derivante dal poter andare dai miei e sbattergli in faccia il mio successo accademico del momento nonostante loro non erano nemmeno d’accordo che io ci andassi, all’università. Nonostante dovessi pagarmi retta e libri da sola, fino all’ultimo centesimo.

Ammalarmi a vent’anni mi ha aiutata ad uscire da questo loop che, vi garantisco, mi ha avvelenato corpo e anima più della bleomicina. L’unica approvazione che ho iniziato a cercare era la mia. Ho iniziato a guardarmi dentro e intorno. E ho smesso gradualmente di provare rabbia e rancore. Anzi, rispetto ad alcune faccende li provo ancora perché mi urtano le situazioni che non si risolvono ma non sono sentimenti che prendono il sopravvento come un tempo, e non si tratta di una questione di tempo che passa e lenisce il dolore.  Non so se ci sarei riuscita lo stesso, senza malattia.

Ragazze di Hodgkin, ammalarsi giovani ha un vantaggio (un lato buono dobbiamo trovarlo per forza): passerete la maggior parte della vita con consapevolezze che, se le analizzate per bene, se imparate a conviverci e se smettete di provare rabbia, vi renderanno persone migliori.  Non vi nascondo che le pagherete a carissimo prezzo. Ma sarete comunque a credito.

La maggior parte di voi che incontrate Hodgkin e poi passate da qui, siete più piccole di me. Spesso anche di una decina d’anni, avete grosso modo l’età che avevo io. Mi chiedete quando tornerà tutto come prima, perché magari non vi sentite troppo giù, ma comunque, giustamente, volete tornare ad essere come prima. Non accadrà. Sarete persone diverse, e non è assolutamente detto che sarà un male, tutt’altro.

Ho raccontato tante volte di quanto mi sembrasse tutto cupo, dopo la malattia. Di come credevo che non ci sarebbe stato un futuro, di quanto fossi certa che non puoi avere il cancro a vent’anni e poi sperare che la vita ti vada liscia come quella di tutti i tuoi coetanei. E’per questo che sorrido quando leggo le vostre mail, perché so bene cosa intendete. Anche a me sembrava tutto perduto.

Eppure, sapete cosa? Ho trent’anni e sono serena. Ho un Maschio Alfa che non è perfetto, ma che è l’unica persona che vorrei mai avere accanto. D’altra parte, anche Maschio Alfa ha me che non sono perfetta (mi manca solo un pelo di umiltà, per esserlo!) eppure gli vado bene così come sono. Ho scoperto, ora che son “vecchia” per queste scoperte, com’è avere una donna più grande di te che ti coccola e cerca di aiutarti, perché sono stata così fortunata da avere Sooocera, che per me ha fatto molto più di qualsiasi altra persona. Ho una bambina perfetta, perfetta proprio come tutti i bimbi. Ho la vita che pensavo non avrei mai avuto solo perché mi sono ammalata giovane e pensavo che niente sarebbe più stato lo stesso.

Tenete duro, ragazze di Hodgkin. Non dategliela vinta. Fatelo secco, il bastardo, poi prendetevi del tempo per voi. Con lentezza. Per imparare a conoscere la nuova persona che sarete e riappropriatevi della fiducia nel futuro, perché potrebbe essere un gran bel futuro. Come il futuro di tutti, però, è importante anche lavorarci…e voi gli strumenti li avete tutti. Presto, vi auguro, care ragazze di Hodgkin, di poter dire quelle due parole meravigliose che io ho messo a chiusura del mio libro: pace fatta.

 


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