Invio alla redazione di Marieclaire questa lettera, scritta a quattro mani con mia sorella, dopo aver letto un discutibile articolo sulle Biblioteche nel mondo, pubblicato sul numero di Settembre.
Ho letto l’articolo Book club sul numero di Settembre e mi sono trovata in totale disaccordo con le considerazioni di Sara Del Corona a proposito del rapporto che gli Italiani avrebbero con la lettura e della situazione delle nostre Biblioteche. Nell’articolo si scrive che “le biblioteche nostrane (la maggior parte) sono tristi e colonizzate dagli acari” e che gli Italiani neanche saprebbero cosa significa lifelong learning. Studio Filosofia a Bologna, città che conta circa cinquanta tra Biblioteche e Fondi librari, che promuovono numerose iniziative culturali: cicli di conferenze, presentazioni di volumi, convegni, mostre. Le Biblioteche in cui ho avuto occasione di passare del tempo le ho trovate tutte vivaci e frequentatissime. La Sala Borsa, centro polifunzionale nel cuore della città, offre, da tempo, tutti i servizi che vengono da voi presentati come una esclusiva degli Idea Store londinesi: corsi per avvicinare bambini e ragazzi al mondo dei libri, punti informazioni, pasticceria, un’emeroteca che accoglie raccolte delle più note testate giornalistiche di tutto il mondo, sale computer con accesso al web, oltre alla possibilità di noleggio di cd, dvd, cd-rom, libri in lingua italiana e straniera; al servizio gratuito di connessione wireless che permette di navigare usando il proprio pc, non solo entro l’edificio, ma anche nell’area circostante; alla audio-raccolta di La Voce Regina, archivio digitale di poesie sonore che contiene opere di più di cento autori. Nella sezione dedicata ai teenagers è possibile guardare film, giocare ai videogames, leggere fumetti. Nei sotterranei della Biblioteca si visitano i resti della antica città romana e due piani più su si osservano plastici e progetti dei nuovi architetti. La Salaborsa non è solo una felice eccezione: in tante delle Biblioteche bolognesi si respira lo stesso fermento culturale e la silenziosa sacralità in cui ci si trova immersi entrando negli archivi di tomi antichi, polverosi, non impedisce la diretta lettura e la libera fruizione dei testi a chi abbia la voglia e l’interesse di avvicinarsi a questo mondo.
Gli edifici, belli, che accolgono le Biblioteche di cui presentate le foto, così avveniristici, si inseriscono bene nei rispettivi contesti che li vedono sorgere, ma volerli in una città antica o medievale sarebbe assurdo almeno quanto visitare Venezia a Las Vegas!
Non posso, infine, evitare di esprimere la mia opinione in merito all’inquietante progetto, avanzato da Aaron Schimdt, e da voi caldeggiato, di offrire a prestito “libri viventi”. Una simile proposta sembra sgorgare direttamente dalla fonte dell’ignoranza e del pregiudizio. Sono rimasta pietrificata dall’assoluta scioltezza con la quale sciorinate il catalogo delle papabili letture: dal vegano, alla donna deturpata, passando per l’immancabile musulmano. Sarebbe questa, secondo voi, un’opportunità per incontrare realtà “diverse” (diverse da cosa? mi chiedo) che non avrebbero, altrimenti, alcuna occasione di venire in contatto … Mi pare che misconosciate del tutto il senso del termine “incontro” che presuppone il mutuo scambio di esperienze, parole, gesti, opinioni.
Credo che nessuna persona dotata, se non necessariamente di senso etico o estetico, ma, quantomeno, di buon senso potrebbe non rendersi conto dell’assurdità di un progetto come quello dei “libri viventi”: agli “ultimi” , ai “diversi” spetterebbe il compito di raccontare i propri drammi, paure, gioie; immobili, davanti ad un lettore che, all’ombra delle proprie certezze, ascolta commosso e si illude di guardare andare in scena una storia, un incontro, addirittura, tra la propria e l’altrui realtà. Parlate di prestiti, parlate di best seller, e sembra ignoriate che ciascuno di noi è la propria storia, ma che, al tempo stesso, noi non siamo solo storie. Jean-Paul Sartre ha scritto parole importanti su come il rapporto tra libro e lettore non sia mai univoco e si fondi su un reciproco scambio di fiducia, su un’alleanza. Eppure, anche alla luce di queste parole, il parallelo da voi instaurato tra “living book” e libro cartaceo continua a suggerire un’asimmetria tra colui che si racconta e l’ascoltatore, relegato a una posizione di passività. Ogni vita merita di essere raccontata, ma, per rintracciare il senso che racchiude in sé, necessita del vicendevole condividere.
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