Girotondo africano
Aveva atteso tanto questo viaggio, un anno di lavoro per il suo pugno di giorni di vacanza. Maria racconta. Ha gli occhi pieni di Africa, è appena ritornata dal Sahara che conosce a menadito. Siamo quattro donne in circolo. La conversazione è ipnotica, ci sembra quasi di girare in tondo.
Aerei militari sulla testa, diretti verso il Mali. E intanto loro, gruppo di occidentali smaliziati, provvisti di una guida e un cuoco, andavano per villaggi, o dentro i crateri enormi dei vulcani spenti, in condizioni rigide: “Di notte meno uno. E un vento della Madonna” Elenca con un sorriso tutte le difficoltà di fare la pipì all’aperto. “La gente è così magra… Mangiano appena ciò che si può coltivare in quelle pozze d’acqua piovana: zucchine e poco altro. Il mais viene dalla Libia e al mercato c’erano mele italiane”.
Italiane! Il coro siamo io e Lola. “ Siamo rimasti basiti”, fa Maria. Elisabetta incalza: “Effetto del protezionismo dell’UE. E il Lago Vittoria, che è sfruttato per l’acqua dei roseti? Sì, roseti. Sapete, quelle belle rose dal gambo lungo e dritto, quelle che sembrano tutte uguali tra di loro.” “Sì, sì.” “Per questo business la gente ha smesso di pescare e pure qualsiasi altra attività legata al lago, che tra l’altro si ritira a ritmo vertiginoso.
Basite siamo noi, adesso.
“E i lavoratori locali, nemmeno conoscono il senso di regalare fiori, non è nel loro patrimonio culturale”, fa ancora Elisabetta. Maria ribatte: “Rifletto sempre più sul fatto che neanche noi sappiamo bene che lavoriamo a fare. In questi viaggi sto bene, mi rendo conto che le cose che contano per vivere sono pochissime. E che del resto si può tranquillamente fare a meno. Mi chiedono come non mi manchi la cosiddetta civiltà. Per me sta proprio lì, la vera civiltà.”
“È quello che si chiama il Paradosso della felicità*. Ce lo spiegavano alla lezione del sabato mattina, uno ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma aveste visto quanta gente c’era! Secondo Keynes, nel ventunesimo secolo le persone avrebbero dovuto essere più felici. E invece trascorriamo ancora un anno sul lavoro per guadagnare un pugno di giorni di felicità.”
*) Quale fiducia è lecito riporre nell’idea che sia possibile un miglioramento nella condizione della umanità? Dal punto di vista della policy i modelli GASP implicano una raccomandazione per l’estensione della azione collettiva che potrebbe assumere diverse forme: per es. potrebbe sostenere la visione delle società avanzate come over-worked e quindi la richiesta di una legislazione per la riduzione dell’orario di lavoro. Potrebbe anche sostenere il punto di vista secondo cui una economia di mercato tende ad un sovra-sfruttamento delle risorse ambientali e quindi portare sostegno alla richiesta di una politica ambientale estensiva. Data l’enfasi sull’importanza delle relazioni per la felicità umana questo approccio suggerisce l’implementazione di ‘politiche relazionali’, cioè politiche sociali mirate al miglioramento delle relazioni. Dal punto di vista della policy tutti i fili di questo lavoro portano nella stessa direzione. Secondo i modelli GASP l’esperienza attuale ed il rischio futuro di un declino del benessere, non sono né un problema biologico, né culturale, ne etico; sono un problema istituzionale poiché dipendono da un fallimento del coordinamento.
Stefano Bartolini, Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Siena “Una spiegazione della fretta e della infelicità contemporanee“
Stefano Rosso – Girotondo