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Letteratura: arte, talento e squali

Creato il 18 luglio 2011 da Autodafe

di Francesca Diano

Con trent’anni di editoria alle spalle, con editori “veri”, cioè piuttosto importanti, come traduttrice, consulente editoriale e editor, oltre che come saggista, penso di poter dire qualcosa su questo argomento, che mi appassiona non poco. Ho visto la differenza tra l’editoria italiana e quella straniera, dato che ho pubblicato all’estero e con maggiore soddisfazione e rispetto da parte degli editori che in Italia.
Se Pigi.S sapesse come lavorano e su che base operano le loro scelte quelli che lui chiama gli “editori veri”… arrivando a dire: “Io per esempio, da lettore, non mi fiderei mai di un testo che non è riuscito neppure a passare il vaglio di un editore vero (il quale qui si fa garante stesso della bontà del libro, visto che ci ha creduto a sufficienza da investirci i suoi soldi).”
Consiglio la lettura del delizioso “I ventun modi di non farsi pubblicare” di Fabio Mauri (quello della Mauri Spagnol per intenderci) con prefazione di Eco. Entrambi, ben introdotti nel mondo editoriale come si può immaginare; uno ovviamente editore, l’altro ottimo venditore di se stesso, concordano sul fatto e concludono che farsi pubblicare se non sei già noto è praticamente impossibile. Ed è così.
I guadagni degli editori italiani (e sottolineo italiani) non provengono tanto dall’investire in opere e autori in cui credono, ma dallo scegliere per la maggior parte autori stranieri già affermati e poi autori italiani o già noti – non necessariamente per le loro qualità letterarie – o, se giovani, non eccessivamente dotati di personalità, in modo da poterli manovrare, lucrare sui loro diritti d’autore, creare casi letterari inesistenti per trarne tutto il succo possibile e poi dimenticarli. Non è difficile creare un caso letterario. Non c’è nulla di vero o di serio in questo se non il denaro coinvolto. Mai visto in trent’anni uno degli editori “veri” scegliere di pubblicare qualcosa arrivato direttamente da un autore sconosciuto e  a volte nemmeno conosciuto. Buttano via tutto direttamente. Le definiscono “opere non sollecitate”.
Per quanto riguarda l’editoria a pagamento, esiste ora la possibilità di pubblicare le proprie opere a pochi euro col metodo POD, Print on demand, su siti appositi, nati prima in USA  e poi diffusisi. Questo segnerà per fortuna la fine di tanti imbroglioni che chiedono cifre folli per fare i tipografi e spesso molto male anche quello.
Ovvio che esiste una pletora di persone prive di ogni talento (ma esiste anche nelle arti figurative, come i “pittori della domenica” che non conoscono le basi del disegno ma magari si pagano una mostra) e che aspirano a vedere il proprio nome su una copertina. Ma tutta questa foga non fa male a nessuno, perché tanto non lascerà traccia. Però è gente che si lascia ingannare dal fatto che ormai si fa credere che fare gli scrittori sia “figo”, che lo scrittore sia un divo. Perché è questo che ci è giunto dall’America. Il discorso è molto lungo e complesso e si ricollega alla nascita di questa terribile trovata che si chiama “creative writing”. Un trend nato in America negli anni Trenta e da noi importato col solito ritardo. Gli americani sono pragmatici e credono che la creatività sia una cosa che si può insegnare. Basta seguire un corso di creative writing ed ecco che sei scrittore e puoi iniziare a pubblicare! Dimenticando che, certo, la tecnica è assolutamente fondamentale, MA non serve a nulla senza la creatività, il mestiere, l’esperienza, la cultura, la conoscenza. E il talento.
Dimenticando che scrittori si nasce e poi ANCHE si diventa, non cessando mai, fino alla morte, di imparare. Io credo che un vero scrittore non abbia bisogno di un editor che gli riscriva o scriva il libro (come spesso ho visto fare e a volte ho dovuto fare anche io, anche se mi sono sempre rifiutata di far passare per farina del suo sacco quello che non lo era). Un occhio esercitato è essenziale, che aiuti a portare alla luce errori, sviste, qualche lungaggine. Ma nulla di più.
Comunque, esclusi i presenti ovviamente, posso assicurare che il mondo dei grandi editori italiani è un mondo di squali, che se possono imbrogliano gli autori, che non pagano il dovuto, che creano autori che poi sotterreranno ecc.
Altro che garanzia di chi è passato al vaglio di questa gente!

Letteratura: arte, talento e squali

Vorrei aggiungere due parole anche sulla questione del lavoro di editing, che, a mio avviso, con lo spazio che ha assunto ormai nella “confezione” di un libro, ha ucciso la letteratura.
Oggi infatti è diventato davvero molto difficile, per il lettore,  riuscire a distinguere il talento letterario da un buon artigianato, o solo passabile artigianato, proprio perché in non rari casi un autore invia all’editore lo scheletro del testo, su cui poi viene operato un lavoro di limatura, correzione, ampliamento, taglio, miglioramenti ecc, che tutto sono tranne lavoro dell’autore. Mi è capitato di trovarmi tra le mani, “per errore”, una prima versione di un autore di grande nome, talmente diverso dallo stile a cui ero abituata, da farmi credere che avesse cambiato radicalmente stile. Telegrafico, pieno di errori, trascurato, parti accennate e non sviluppate, contraddizioni ecc. Invece era solo appunto lo scheletro di quello che poi, con il contributo di un editor, sarebbe diventato un romanzo vero e proprio ma diverso, a parte il plot. Ora, se i VERI scrittori che per secoli hanno scritto, lavorato e prodotto capolavori immortali, non hanno avuto bisogno di editor che glieli sistemassero, è perché fare lo scrittore, come fare appunto l’artista, richiede, oltre al talento, delle competenze tecniche che nascono dalla pratica, dall’esperienza, dalla capacità di vedere e capire le cose, dalla immane fatica a cui non si teme di sottostare che fare letteratura richiede. Tutte cose che non ha chiunque. Che non basta un corso di scrittura, pur tenuto da un autore di successo (che non rivelerà MAI i suoi segreti veri o, peggio, quale lavoro i suoi editor fanno per lui) a regalare.
È questa la differenza fra chi fa letteratura e chi scrive. Come tra chi fa arte e chi disegna. Talento, idea,  tecnica e dedizione totale, tutte insieme e tutte allo stesso tempo a concorrere nel creare un’opera che abbia almeno la qualità dell’autenticità. Magari non un capolavoro immortale, ma della buona letteratura.
Poe, nei suoi meravigliosi saggi sulla letteratura, scriveva che “arte e verità sono sorelle”. Se togliete quella verità, togliete l’arte.
Se si potessero cancellare tutti coloro che contribuiscono col loro lavoro a confezionare il prodotto commerciale che ormai è un libro, ecco che non sarebbe più possibile confondere uno scrittore “vero” con uno finto, costruito a tavolino. Sparirebbero gli innumerevoli “casi letterari” che ogni anno nascono come funghi, l’infinito corteo di giovani geni esordienti (ogni secolo si contano al massimo sulle dite di una mano), gli scrittori/opinionisti/presenzialisti/presentatori/vincitori di premi/tuttologi che affollano le presentazioni in libreria.
L’editoria è un’industria commerciale. Stop. Poi, certo, fra tutto questo frastuono si trovano anche gli scrittori veri. Da noi non tanti e se ci sono, sono presto messi nella stanza degli ospiti.
Vogliamo poter tornare a riconoscere un vero scrittore, uno scrittore di talento, uno che faccia letteratura? Torniamo a lasciare che gli scrittori facciano da soli il loro mestiere. Il numero dei manoscritti inutili si ridurrà come per incanto e gli stessi editori avranno più facilità a riconoscere il talento.


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