Provate a immaginare l’ultima volta in cui vi siete davvero emozionati: brividi, sensazione di calore e occhi sul punto di sputare lacrime. Domenica scorsa ad Asiago mi è accaduto.
È stato il coronamento di un piccolo sogno al quale pensavo da anni, nato nel modo più semplice grazie all’incontro di persone con la medesima passione e l’intraprendenza genuina. Ricordo ancora la prima serata organizzativa: quattro individui che parlano di Mario Rigoni Stern come se fosse presente, come se i suoi romanzi avessero ancora molto da raccontare, come se fosse del tutto normale, oltre che dovuto, organizzare un evento per ricordarlo. Ci siamo intesi da subito. A volte non è questione di intenti o di comprensione, bensì di frequenza, quella c’è o non c’è. La frequenza è provare sulla pelle le stesse emozioni e necessità.
Domenica sono arrivato preoccupato ad Asiago, avevo, insieme a Marco Crestani, Andrea Vollman e Claudio Sattin (gli altri tre organizzatori), il timore che Mario Rigoni Stern avesse diviso la cittadinanza, troppe volte gli attacchi, anche personali, erano stati feroci nella sua città di origine. Le chiacchiere delle malelingue hanno seminato nell’immaginario collettivo vicentino un mucchio di sciocchezze sul suo conto e sapevamo che un evento a lui dedicato avrebbe potuto incontrare qualche ostacolo.
Mancava un quarto d’ora all’inizio di Letteratura Vivente e la chiesa di San Rocco si stava piano piano riempiendo di persone, uomini e donne, giovani e anziani. Quando ho visto la sorella Maria e il figlio di Mario Rigoni Stern entrare in chiesa, ho provato una forte emozione. Pochi minuti dopo le 17.00 è calato il silenzio, Andrea Vollman si è avvicinato al microfono e ha introdotto l’evento. Si sono alternate le letture tratte dai romanzi di Mario Rigoni Stern e gli intermezzi dell’arpa di Paola Magosso. Un clima spirituale e un rispetto condiviso che hanno donato magia.
Ho visto l’emozione dei lettori e desidero nominarli e ringraziarli tutti in ordine di comparsa domenica: Loris Rampazzo, Luciano Zampese, Elena Sartori, Emanuele Pettener, Giovanni Rattini, Emanuela Maino, Claudio Rigon, Lavinia Palmas, Gerardo Perrotta, Margherita De Pellegrin ed Eros Zecchini.
Alla fine dell’evento è scattato un applauso liberatorio, partecipato, intenso.
A quel punto Vollman ha annunciato che il sottoscritto avrebbe letto una lettera che la casa editrice Einaudi ha voluto donarci per celebrare il quinto anno dalla scomparsa di Mario Rigoni Stern.
Ero teso, sono andato al leggio e l’unico pensiero che avevo era di non emozionarmi, avevo provato a leggere la lettera a casa una decina di volte e mi era sempre venuto un nodo alla gola, soprattutto quando si nomina la moglie Anna. Per fortuna ho avuto solo un momento difficile che ho cercato di nascondere con concentrazione durante la lettura grazie a una brevissima pausa, tempo di riprendermi.
Segue la lettera di Mauro Bersani, editor di Einaudi.
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Mario Rigoni Stern per l’Einaudi è stato tante cose. È stato uno degli autori più importanti, naturalmente: i suoi libri sono entrati nella storia della letteratura e hanno dato prestigio al nostro catalogo. Ma è stato anche l’autore più fedele. Dal 1953, data della prima edizione del Sergente nella neve, fino alla morte è sempre stato legatissimo alla “sua” casa editrice, a Giulio Einaudi, a Roberto Cerati, a Ernesto Franco, a tutti gli altri amici che si sono alternati nel tempo, a tutti i redattori che hanno curato i suoi libri. Una “lunga fedeltà” durata cinquantacinque anni. Non scalfita dalla crisi in cui la casa editrice si è trovata invischiata nel 1983 e negli anni subito seguenti. Nel periodo dell’amministrazione controllata gli autori, invece dei consueti compensi, acquisivano crediti che non si sapeva se e quando avrebbero potuto essere riscossi. E infatti alcuni grandi nomi avevano preferito cambiare aria indirizzandosi verso altri editori con più pronta disponibilità. D’altronde non sarebbe giusto biasimarli perché è sacrosanto essere pagati per il proprio lavoro. Però Mario non andò via. Anzi, pubblicò due libri a ridosso uno dell’altro, L’anno della vittoria e Amore di confine, fra il 1985 e il 1986, proprio per dare una mano a superare la crisi. Senza contare l’apporto psicologico che diede a Giulio Einaudi invitandolo ad Asiago nel momento più difficile, come senz’altro Anna ricorderà.
Mario è stato una specie di bandiera che sventolava gli antichi valori dell’Einaudi – rigore morale, antifascismo, democrazia – e a Torino funzionava da bussola a cui indirizzarsi quando poteva capitare qualche momento di confusione.
Mario, con la cara Anna, è stato anche calore umano. Mangiare e bere insieme, parlare di libri suoi e di altri, raccontare e ascoltare in un’atmosfera di amicizia e fratellanza. È stato anche un modello di stile. Se il mondo della letteratura è spesso toccato da un eccesso di narcisismo e di mondanità, chi di noi tornava da Asiago dopo un incontro con Mario si sentiva rinascere, rinfrancato dal senso della misura, dalla sobrietà, dall’umiltà di questo scrittore che sapeva interpretare in modo così profondo e così poco appariscente il suo mestiere.
Dunque, come dicevamo, Mario è stato tante cose per noi einaudiani, e tutte importanti. Siamo contenti che venga celebrato oggi, a cinque anni dalla scomparsa e che continui a essere letto e ricordato. Il modo migliore con cui una casa editrice possa perpetuare e continuare a far vivere un suo autore è quello di pubblicare i suoi libri e di aggiungere nuove edizioni a quelle consolidate. Ci piace dunque in questa occasione annunciare la prossima uscita di un volume che si intitolerà Conversazioni e interviste e che conterrà interventi compresi fra il 1962 e il 2006. Il libro uscirà il prossimo ottobre e sarà l’occasione per risentire la voce di Mario sui temi più diversi, dalla letteratura alla natura alla politica. Un buon modo di ricordarlo per chi l’ha conosciuto e di scoprire un vecchio amico per i più giovani.
Un caro saluto a tutti voi da Mauro Bersani.
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Le gioie non erano finite. Concluso l’evento, dopo essere usciti dalla chiesa, mi sono avvicinato alla sorella di Mario Rigoni Stern e lei, con una tenerezza che ricorderò per sempre, mi ha detto: «Vorrei farle un regalo». Ha aperto la borsa e con due fotografie in mano mi ha spiegato che erano del 1935, anno in cui Mario, quattordicenne e timido, non amava mai stare in prima fila (nella prima foto è il ragazzino alto, in piedi e a sinistra, nella seconda è l’ultimo, dietro a tutti, in piedi). Che emozione. Non sapevo cosa dire, ho ringraziato. Maria mi ha guardato e ha sorriso.
Letteratura Vivente ha voluto essere una prima testimonianza, un primo tentativo per ricordare, perché Mario Rigoni Stern continui nel tempo a illuminare i nostri passi.
Grazie a coloro che hanno partecipato e grazie ad Asiago, perché sia le istituzioni sia i cittadini hanno accolto un evento che speriamo possa ripetersi in futuro.
Mi congedo con uno scritto di Mario, tratto da Le stagioni di Giacomo:
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Una sera di fine maggio Irene disse a Giacomo del suo desiderio di andare ai piedi delle montagne dove la sua famiglia era stata profuga nel Sedici.
Abitavano in una casetta dentro un prato tutto circondato da ciliegi selvatici, ontani e betulle: il Prà del Giglio, era chiamato. In quella casetta, quasi una stalla, erano vissuti tre anni in grande miseria e lì era morta sua sorella Orsola, una bambina che lei non aveva mai conosciuta.
Di questo posto avevano parlato suo fratello e suo nonno prima che morisse.
“Vorrei proprio vederlo. Che ne diresti di andarci noi due? Una domenica, in bicicletta”. “Bisognerebbe conoscere la strada; e poi non abbiamo la bicicletta”, rispose Giacomo.
“Potremo prenderla a noleggio dal Toni Folo. Costano poco”.
“Mi informerò. Chiederemo a tuo padre la strada migliore per arrivarci”.
Giacomo si informò. La strada migliore era quella per il Costo fino a Caltrano; poi da Caltrano bisognava raggiungere Calvene e lì chiedere del Prà del Giglio.
La strada più breve passava invece per la Barental, Granezza, Malga Mazze e Monte di Calvene. Tra l’andare e il tornare era una quarantina di chilometri. Il noleggio delle due biciclette costava quattro lire. Decisero che sarebbero andati una domenica di giugno scendendo per la Barental e risalendo per il Costo.
Il sabato sera andarono a prendere le biciclette perché avevano intenzione di partire al mattino di buonora. Toni Folo chiese dove volessero andare e quanto tempo sarebbero rimasti via. Avuta la risposta scelse, tra la dozzina che aveva a disposizione, le due biciclette che sembravano più adatte per moltiplica e copertoni.
“Sono strade con ghiaia a martello”, disse, “ci vogliono gomme buone, buoni rapporti e anche buoni freni. Vi metto anche la pompa e la borsa degli accessori se per caso vi capitasse di bucare. La sai aggiustare una gomma?”, chiese a Giacomo.
“Sì, ho visto come si fa dai miei compagni. È facile”.
“E cosa andate a fare sotto i monti? Una gita?”
“Vogliamo andare dove era profuga la mia famiglia, vicino a Calvene. Lì è morta mia sorella di spagnola”, rispose Irene.
“Anni brutti! Che brutti anni ragazzi! La mia famiglia era andata a Noventa; io ero stato richiamato in aviazione perché sapevo fare il meccanico. Mi avevano trasferito dagli alpini. Mi raccomando, ragazzi, andate piano in discesa, spingete in salita.
Portatemele domenica con vostro comodo. Mi pagherete al ritorno.
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[Un ringraziamento a Simone Ruffini, fotografo ufficiale di Letteratura Vivente]
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