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Lettere a Primo Levi: La luna è una severa maestra

Da Leragazze
Lettere a Primo Levi: La luna è una severa maestra
Vega attaccherà…

Caro Primo,

mentre il sottoscritto era impegnato a vagire, una buona fetta dell’umanità – te compreso – stava in fibrillazione in attesa che si compisse l’impresa dell’Apollo 11. Ti risparmio le seghe mentali di quelli – me compreso – che nutrono tutta una serie di dubbi sull’effettiva realtà dello “sbarco” di Armstrong. Tutto sommato, in un caso o nell’altro, ciò che contava era soprattutto il significato dell’evento, più ancora dell’evento in sé.

All’epoca tu avevi 50 anni tondi. Avevi già fatto le tue esperienze nella vita, e ti appassionava il mondo della scienza. Adesso che la NASA boccheggia ed è stato chiuso il progetto SETI (per la ricerca di intelligenza extraterrestre), a noi fa un po’ strano tutto l’accanimento di allora per i viaggi spaziali. Ma dove volevano arrivare, poi? Lo chiediamo a te, che nell’incombere di quel poetico e spoetizzante 21 luglio 1969 hai pubblicato ben due testi: il racconto di fantascienza Visto da lontano, “ultimo reverente omaggio a Luciano di Samosata, Voltaire, Swedenborg, Rostand, E. A. Poe, Flammarion ed H. G. Wells”; e l’articolo La luna e noi.

Stiamo dunque per fare un grande passo: se più lungo o no delle nostre gambe, per ora ci sfugge. Sappiamo che cosa stiamo facendo? Da molti segni è legittimo dubitarne. Certo conosciamo, e ci raccontiamo l’un l’altro, il significato letterale, sto per dire sportivo, dell’impresa: è la più ardita, e ad un tempo la più meticolosa, che mai l’uomo abbia tentata; è il viaggio più lungo; è l’ambiente più straniero. Ma perché lo facciamo, non sappiamo: i motivi che si citano sono troppi, intrecciati fra loro, ed insieme mutuamente esclusivi.

Sotto a tutti, alla base di tutti, si intravede un archetipo; sotto l’intrico del calcolo, sta forse l’oscura obbedienza ad un impulso nato con la vita e ad essa necessario, lo stesso che spinge i semi dei pioppi ad avvolgersi di bambagia per volare lontani nel vento…

Via col vento, ma non ne è nata nessuna poesia cosmica, quella che animava Dante e Ariosto (nonché Tasso e Milton, tra parentesi). Dante, come riporti, aveva trasvolato l’universo in cerca di luce, di vera vita, di pace, “poiché, notoriamente, le aiuole ci fanno feroci”. Stavolta però non è andata così. E lo sottolinei citando la Genesi a tradimento.

Dal nero alveo primigenio senz’alto né basso, senza principio e senza fine, dalla contrada del Tohu e del Bohu, non ci sono giunte finora parole di poesia, eccettuate forse poche ingenue frasi del povero Gagarin: null’altro se non i suoni nasali, disumanamente calmi e freddi, dei messaggi radio scambiati con la Terra, conformemente a un rigido programma. Non sembrano voci d’uomo: sono incomprensibili come lo spazio, il moto e l’eternità.

Un grande passo per l’umanità, ma un piccolo passo per l’Uomo.

Tuo d



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