Lettere dal Laos: templi e cascate

Creato il 21 febbraio 2012 da Enricobo2

La cascata di Li Phi.


Rimarresti tutto il giorno sull'amaca ad ascoltare il tempo che scorre. Qualcuno ha detto che la vita qui è così rilassante che se per magia le isole si muovessero andando alla deriva lungo il fiume fino alla Cambogia, nessuno se ne accorgerebbe, annichilito dal proprio torpore. Poi però, la voglia di esplorare prende il sopravvento. Il modo migliore per spostarsi sulle isole è la bicicletta, A Ban Hua, il piccolo villaggio sulla punta nord di Don Det, dove si ferma la maggior parte dei viaggiatori, tutti i bar e negozi hanno la loro brava rastrelliera di bici davanti alla porta e con 1 euro al giorno ti passa la paura. La stradina in terra battuta percorre tutto il perimetro dell'isola tra capanne spoglie, bambini che sguazzano nel fiume, pescatori che riparano reti, maiali che grufolano in cerca di cibo. Intorno il rigoglio della natura ti affascina e allo stesso tempo ti protegge dal sole che comincia a farsi sentire. Enormi alberi secolari trattengono la riva dal precipitare nel fiume con i loro poderosi fasci di radici fascicolate; altre volte invece, constati che non ce l'hanno fatta ed eccoli lì rovesciati di lato, dopo che l'acqua dell'ultima piena, maligna, ha scavato sotto di loro fino a farli rimanere nel greto, così, diresti a gambe levate, protendendo le radici innaturalmente esposte, ormai secche, verso un cielo pulito. Dopo qualche chilometro arrivi al vecchio ponte francese che unisce Don Det a Don Khon e, pagato il pedaggio, un fiorino, potrai lasciarti andare lungo il terrapieno in discesa che dopo un'oretta ti porta in vista delle cascate. 
E' incredibile che il Mekong , in questi tratti di pianura formi cascate così ricche violente, eppure sono lì davanti a te che puoi rimanere a guardare lo spettacolo e stupirti davanti all'entusiasmo di un monaco che non smette di scattare foto col telefonino, forse anche lui ammirato dalla bellezza della natura che circonda il luogo e ancora lontano dalla liberazione dalle passioni terrene. Chissà se anche lui crede che le cascate imprigionino gli spiriti cattivi del fiume e proteggano le isole? Fasci di bambù e palmeti proteggono la strada del ritorno. Poi tra le risaie e gli orti che tappezzano l'interno delle isole, si alzano le guglie degli stupa di un piccolo tempio lontano. La strada che segue diritta gli arginelli ti porta al cospetto di questa vecchia costruzione, rimaneggiata più volte anche di recente, fino a formare un strana commistione di stili, di colori, di spazi sacri. L'oro dei frontoni abbaglia e ti accorgi che il sole è ormai alto nel cielo e brucia. Il sudore cola in mille rivoli al minimo movimento. Al centro del cortile un immenso banian, il sacro albero della vita è circondato da una piattaforma rotonda così che ogni passante possa sedersi comodo, riposare, guardare quello che lo circonda con la stessa serenità che spira dai volti impassibili delle tante statue dorate che fanno capolino da ogni spazio, con il loro sorriso enigmatico che vuole farti riflettere, meditare, assorbire senza ragionamento il significato della vita. Così quando tornerai, non vorrai ad agitarti se non è ancora arrivata l'acqua per lavarsi o se l'elettricità è staccata fino alle 19.

Il tempio di Don Det.


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