Lettere dal Laos: una strada tra i monti. Da Vang Vieng a Phonsavang

Creato il 01 marzo 2012 da Enricobo2

Verso il passo.

 

Liquori Kamu.

Lasciare Vang Vieng è davvero difficile. Vorresti rimanere, lasciarti andare alla pigrizia delle amache lungo il fiume, camminare nei boschi dei dintorni, godere di un paesaggio unico e grandioso, ma il viandante deve riprendere la strada che sale tortuosa lungo i fianchi corrosi di montagne spettacolari, una strada tutta curve, dal manto disastrato, che mette a dura prova mezzi e stomaci dei viaggiatori. Ad ogni svolta vuoi fermati almeno un attimo per fare una foto, per cercare di portare con te le immagini uniche di queste valli contorte, continuamente diverse e mutevoli che ti presentano ad ogni svolta un nuovo panorama, un differente punto di vista ancora più bello. Di quando in quando piccoli gruppi di capanne, paesini dove si raggruppano i tanti gruppi etnici che popolano la montagna, Hmong e Kamu, che vivono delle risorse della foresta e di una agricoltura primordiale e di sussistenza. Davanti alle case di legno o di frasche, qualche bancarella che vende i frutti della foresta, piccoli animali di ogni tipo, uccelli all'apparenza esotica, già cucinati e pronti per l'uso. Da sotto una cesta spuntano due lunghe code pelose piuttosto misteriose, forse gatti selvatici, che l'uomo di casa si affretta a nascondere; più in là radici ed erbe medicamentose e liquori fai da te in bottiglie riciclate che contengono innominabili forme di vita. 

Animali della foresta.

Un mondo primitivo che si stempera nel sorriso delle venditrici che offrono le loro merci ai rari passanti. Su un piccolo passo, un villaggio Yao, offre mandarini dolci e succosi. Dietro ad ogni banco una ragazza impegnata a ricamare strisce di stoffa che ornerà i suoi costumi, ché nella foresta dove il verde cupo del sottobosco la fa da padrone, si sente forse un bisogno di colori per sottolineare la bellezza delle donne, per arricchire l'aspetto dei tanti bambini, con le grandi fasce per portare i neonati sulle spalle o nei graziosi cappellini di cui nessuno è privo. Tante faccette rotonde che ti guardano ridendo e che le giovani mamme esibiscono con orgoglio per farli fotografare, cosa che tu fai con piacere, così non ti rendi neppure conto che il chilo di mandarini, un po' mollicci, ti viene fatto pagare più caro che alla boutique della frutta della tua città. Te li mangi di gusto e li trovi buonissimi mentre arrivi al passo. Qui, da una grande balconata che si affaccia sulle valli che convergono, ti puoi sedere in un aria frizzantina a guardare in basso, dove gli orizzonti lontani si confondono, dove la foschia azzurra colora le cime più lontane e contorte. Un paesaggio immenso che disarma e stupisce.

Bimbo Yao.


Al passo si fermano tutti, un po' per la bellezza del sito, un po' per mettere sotto i denti qualcosa, una scodella di noodles o un'insalata di papaya, per calmare lo stomaco rivoltato dalle curve. Un enorme gruppo di giapponesi in gita aziendale, con fotografo ufficiale al seguito, si impadroniscono dell'area colonizzando panche e sfondo per le foto. Chiasso e movimento. Il gran capo anzianotto che si accompagna ad una giovane laotiana, dall'aria annoiata, viene servito con degnazione da una coorte di sottopancia che forniscono alla coppia viveri e altri generi di conforto. Lasciamo, quasi con dispiacere questo luogo naturalmente affollato, mentre la strada prosegue scendendo in continui saliscendi fino al bivio di Luang Prabang. Poi la strada per Phonsavang diventa davvero terribile. 120 chilometri in un paesaggio sempre più severo e deserto di abitanti e di vita. Tre ore di curve senza fine per arrivare all'altopiano. Quella piana delle Giare dove la storia ha giocato carte violente e tragiche. Il luogo è davvero particolare, senti brividi forti lungo la schiena, mentre calano le ombre della notte e forse non è soltanto la pioggerella gelida che scende dal cielo a freddarti le ossa.

La strada per Phonsavang.


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