Ieri sera ho visto il film Uomini che odiano le donne, riadattamento cinematografico del 2009 del regista Niels Arden Opliev dell’omonimo fortunato romanzo di Stieg Larsson, primo capitolo della serie Millennium.
Nonostante il polverone mediatico scatenato prima dal libro e poi dal film (di cui in questi giorni dovrebbe uscire nei cinema una riedizione americana con Daniel Craig) non mi sono interessato alla storia se non per qualche scambio di battute con Chiara dopo che lei aveva letto il libro e lo aveva trovato bello, interessante ma anche normale. Niente di così entusiasmante per così dire.
Fidandomi del suo giudizio ed immergendomi in altri impegni alla fine non ho più ripreso ne libro ne film, fino a ieri sera quando ce lo siamo trovati davanti in tv. Vabbè, dico io, vediamo che cosa c’è di così innovativo in questo thriller ambientato nel gelo della Svezia.
Si tratta di una storia a tre lati. Da un lato abbiamo la ventiquattrenne Lisbeth Salander, hacker di professione, con un passato terribile e un carattere anche peggiore se mai sia possibile; dall’altro Mikael Blomkvist, redattore della rivista Millennium coinvolto in uno scandalo e prossimo al carcere. Per rimanere in allegria il terzo lato della trama è occupato dalla scomparsa di Harriett Vanger, prediletta nipote del potente Henrik Vanger ed esponente di spicco di una delle famiglie più potenti e influenti di Svezia.
La scomparsa è avvenuta ben 40 anni prima dei fatti della nostra storia ma l’indagine che ne verrà fuori coinvolgerà sempre di più il nostro Mikael che comincerà a trovare alcuni piccoli indizi. L’apporto di Lisbeth sarà quello che spostare la nostra attenzione di spettatori dal filotto di prove che ad un certo punto forniranno un nome, il più idoneo ad essere accusato di quello che sembra un presunto rapimento o omicidio.
Quello di Lisbeth è un ruolo chiave della vicenda e se dovessi dire cosa mi ha colpito di più della storia direi il carattere della giovane svedese e la profondità psicologica che traspare nel film (anche se Chiara mi dice che mancano parti importanti del libro): un’atteggiamento sempre compassato e dissociato dall’ambiente circostante ma che lascia trasparire molto del fuoco che si cela dietro una personalità volutamente fredda.
Non aspettatevi però che Lisbeth vi risulti simpatica, anzi tutto l’opposto. Almeno per quello che mi riguarda. Io l’ho trovata di un antipatico infinito ma, allo stesso tempo, senza di lei tutta questa storia non avrebbe potuto svilupparsi.
Ecco il punto debole della trama. I personaggi essenziali si fanno notare pesantemente anche se l’autore (del libro) e lo sceneggiatore (del film) fanno di tutto per confonderci le idee: diciamolo pure, senza il personaggio di Lisbeth Salander infatti, manco il titolo si sarebbe potuto giustificare.
Alla fine si tratta di un bel film, forse con un ritmo estremamente lento ma sicuramente valido e coinvolgendo e, ad occhio, credo che il libro sia davvero bello però la soluzione dell’enigma mi ha dato l’impressione di essere puramente casuale. Vengo e mi spiego: è come se proprio quando Larsson abbia deciso il finale si sia accorto che aggiungendo un elemento collaterale di disturbo la trama si sarebbe potuta allargare di più coinvolgendo altri personaggi. In questo modo si nota come ad un certo punto la trama sterzi bruscamente (e senza motivo) verso un’altra direzione; in aggiunta ci sono diversi passaggi che nel film mancano di sostanza e che minano alle fondamenta le basi della trama, passaggi che di sicuro nel libro sono stati trattati meglio. Ma questo, lasciatemelo dire, era ovvio anche prima di vedere il film.