Lo scorso luglio ho letto con interesse i post di Daniele Bergesio, Simona Scravaglieri ed Elena Tamborrino dedicati a un tema su cui pedagogisti, insegnanti e genitori si interrogano da sempre: come si diventa lettori.
Ciascuno degli amici blogger citati, grandi appassionati di letteratura, ha raccontato la propria esperienza, cercando di ricordare il momento in cui il libro è passato dall’essere un oggetto incomprensibile e forse un po’ noioso a un amico inseparabile. C’è anche chi ha tentato di dare una spiegazione alla diminuzione dei lettori attribuendo la responsabilità ai nuovi stili di vita, caratterizzati da una molteplicità di stimoli un tempo impensabile (Tv, videogiochi, attività extrascolastiche…) e chi invece si è domandato se la povertà di certe proposte editoriali fatte di barzellette, biografie di “pseudo-vip” o storie insulse, possa comunque essere utile come punto di partenza per creare futuri lettori consapevoli.
Scorrendo le varie analisi proposte è stato inevitabile tornare con la memoria agli anni dell’infanzia e cercare di ripescare i primi momenti che mi hanno vista felice con un libro in mano, consapevole di avere scoperto un tesoro inesauribile.
Allo stesso tempo, come madre di due bambini in età scolare, forti lettori (di libri “veri”), non ho potuto fare a meno di chiedermi quali e quanti condizionamenti sociali e familiari abbiano determinato questa loro passione e in che misura abbia, invece, influito il Dna. In altre parole, perché, sebbene non siano la norma, ci sono bambini cresciuti in case senza libri che divorano storie e altri, allevati a pane e cultura, che non ne vogliono sapere?
La risposta che mi sono data è che la predisposizione genetica ha un ruolo secondario rispetto all’ambiente, ma che un contesto favorevole da solo non è comunque sufficiente a creare un lettore. Ciò che davvero fa la differenza, mi pare, è l’incontro con un libro, con una persona o una situazione capaci di fare da detonatore alla “bomba lettura”.
Ricordo che già da molto piccola, prima di cominciare la scuola dell’obbligo, i libri erano per me oggetti pieni di fascino. In casa, oltre ai testi che leggevano i miei genitori, ancora troppo complicati per la mia età, c’era l’enciclopedia per ragazzi Conoscere (Fabbri Editori), che con i suoi fascicoli di grande formato, la copertina rossa con le lettere dorate, rappresentava una terra da esplorare, fatta di disegni multicolore, fotografie e descrizioni comprensibili.Complice un nonno ex-professore d’Italiano e amante della poesia, fu facile innamorarmi della parola scritta. A sei anni copiavo a mano pagine intere pagine della suddetta enciclopedia e a otto scrivevo sulla Lettera 32 di mio padre i miei primi giornali, ritagliando titoli dal Corriere della Sera e inventando articoli bizzarri, mentre andavo dicendo a tutti che da grande sarei diventata giornalista (all’epoca suonava meglio di oggi, credetemi). Qualche colpo di graffetta per unire i fogli e le miei pubblicazioni erano pronte per il “pubblico”.
Conservo ancora quei divertenti libretti pieni di strafalcioni ortografici. Mi ricordano anni felici in cui strinsi amicizie indimenticabili: dal capitano Nemo a Tom Sawyer dalle Piccole Donne Jo, Meg, Beth e Amy a Moby Dick, dall’esotico Sandokan al leale e coraggioso Boka de I ragazzi della via Pal fino a Oliver Twist e, più avanti, al caparbio Santiago de Il Vecchio e il mare.
Da lì in poi si è trattato solo di scegliere. Qualche buon professore al liceo è stato certo di aiuto, ma il cammino era tracciato e sapevo che non mi sarei mai persa.
Mi piace pensare di essere riuscita ad accendere la stessa “miccia” nei miei figli, facendo incontrare ognuno di loro con le storie che ama. Il fantasy, che alterna ai classici per ragazzi, il maggiore, le fate e le principesse, la più piccola.
Conosco madri forti lettrici che raccontano di non avere avuto altrettanta “fortuna” con i figli. Nessuno di loro, spiegano, è diventato un lettore, nonostante il buon esempio dei genitori e una biblioteca ben fornita in salotto.
Basta avere tanti libri su uno scaffale e vedere un adulto leggerli per appassionarsi? Io credo di no. I bambini occorre accompagnarli per mano, raccontare loro storie quando ancora non sanno leggere, sfogliare con loro libri che promettono viaggi magnifici nei regni dell’immaginazione, far respirare loro l’aria delle librerie andando insieme a scegliere un testo da portare a casa, parlare di quel che leggono a scuola, far vivere loro la lettura come un’esperienza magica, come un viaggio sull’ottovolante, una partita alla playstation, una festa con gli amici più cari. Solo così (e forse con un pizzico di Dna favorevole) la “miccia” si accende. E poi non si spegne più.