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Lettura di Zagreb a Bologna: come i Blues Brothers, ma senza rete.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
  • Categoria Cuore

Immaginate la scena.

Tavoli in legno, suoni di forchette e bicchieri e di sedie che strusciano. Bicchieri di vino tra le mani degli avventori. Al centro, un palco arrangiato con un due sedie da bar, due casse alle spalle e un microfono al centro.

“Buona sera” dico. Nessuno ascolta. Sorseggio dal mio mojito e penso che bisogna trovare una soluzione, altrimenti mi fanno fritto. Sorseggio ancora, mi siedo, poso il bicchiere sulla mia destra, avvicino l’asta del microfono alla bocca, e mi ci appoggio come fossi una rock star stanca.

Qualcuno comincia a usare la mia bocca e parla, come non fossi io.

“Vengo da un fine settimana duro, vengo da Berlino. Domenica mattina, come si usa a Berlino, vado al Berghain. Lo conoscete il Berghain? Sì, ci sono andato domenica mattina e restato per due giorni. Era una serata spinta. Maschi vestiti, maschi nudi, maschi che si baciano, maschi che, negli angoli, scopano. La sala centrale è… conoscete Blade Runner? Ecco, sì, il film cult con Harrison Ford… Bene, quella è l’aria che si respira al Berghain. Si respira per modo di dire. Con tutto quel testosterone e quei pettorali che sudano, si respira poco. La tecno è sparata, ai lati reti in metallo, sopra un soffitto alto venti metri, e al centro corpi che si muovono. Ballo, evito, scappo, torno. Poi qualcuno mi fa ‘vuoi venire in paradiso?’. Ci penso su, rispondo sì, ma io lo so che è un paradiso per lui, e un inferno per me. Scendiamo nel buio delle dark rooms. Ma nel buio, i culi si vedono, si vedono in maschi a quattro zampe, e si vedono i loro cosi che sbatocchiano. Il giro negli inferi mi è bastato. Devo bere qualcosa, e mi ritrovo al bar: dietro una rete in metallo, un’atmosfera più calma, intima. Davanti a me una coppia, sono un maschio e una femmina, credo, si bacia, si spoglia. Si tocca. E uno mi chiede ‘sei proprio sicuro di essere etero?’. Io lo guardo: è un uomo piacevole di una cinquantina d’anni, e ritorno a guardare la coppia che si bacia…”

Nel bar di Bologna, alzo lo sguardo: ora c’è silenzio. Ormai sono entrato in una parte. Mi sto divertendo e non è solo per tutti i mojitos che ho bevuto. Dentro di me sorrido per quello che sto per dire, ma fuori provo a rimanere il più serio possibile: “E dopo questo due giorni al Berghain, prendo l’aereo, atterro a Milano, scendo a Bologna e arrivo in questo bar dove nessuno mi ascolta. Voi nell’angolo, per esempio… ascoltate. Mi hanno chiesto di leggere un brano da un libro che non mi piace. Zagreb, si chiama. L’autore è un certo Arturo Robertazzi. È un trentenne che, chiedete a lui il perché, ha deciso di scrivere di guerra. Ora ve ne leggo un pezzo.”

Sollevo il mio kindle, lo accendo e comincio con l’incipit di Zagreb.

Il resto è emozione.

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