Da “Per salutare Giorgio Orelli* di Pietro De Marchi” su LE PAROLE E LE COSE (qui)
Negli ultimi anni, chi gli è stato vicino e sapeva che una sua raccolta di versi era pronta o quasi pronta cercava, con tutto il garbo possibile, di convincere Giorgio Orelli ad affidarla finalmente a un editore. Qualcuno addirittura gli ricordava, un po’ per celia, quello che Alessandro Manzoni, citando Petrarca, ripeteva al suo amico parigino Claude Fauriel, per incoraggiarlo a portare a termine e a far conoscere il risultato dei suoi studi: “Non lassar la magnanima tua impresa”. Giorgio Orelli aveva già scelto il titolo del suo ultimo libro di poesie: L’orlo della vita. E anche in questo caso, come per L’ora del tempo, era stato Dante a suggerigli il sintagma che avrebbe dato un sovrappiù di senso all’intera raccolta. Ma non c’era nulla da fare: Giorgio Orelli sorrideva, sapeva bene, meglio di tutti, che il tempo era il suo maggior rivale, ma non si scomponeva più di tanto.
Questa vicenda, di un libro non pubblicato, perché forse non ancora perfetto in tutte le sue parti, stando al suo severo giudizio, ci fa comprendere tante cose di Giorgio Orelli e del suo modo di concepire la vita e la letteratura, nel loro giudizioso accoppiamento. La lezione più importante è che non si deve avere fretta. I libri, come disse una volta, “si fanno con la vita”, e dunque neppure l’approssimarsi della fine deve indurci ad assecondare pressioni esterne, per quanto forti.
*Due giorni fa è morto Giorgio Orelli (1921-2013)