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Lezione morale

Creato il 16 aprile 2011 da Robomana
Lezione moraleDelle tante cose straordinarie dell'ultimo, straordinario film di Moretti, la cosa che più mi ha colpito e divertito (insieme a un paio d'altre, a dire il vero) è ciò che si legge sui giornali quando il povero Papa di Michel Piccoli passa davanti a un'edicola del centro di Roma. Tra le testate di tutto il mondo, si notano soprattutto La Repubblica e il Corriere: la prima titola con il solito misto di giornalismo apocalittico e visionarietà messianica "La grande attesa" (e mi chiedo se c'è modo migliore per rendere lo stile di Mauro e soci), mentre il secondo, ed è qui il genio, ha bello grosso in vista: "E' già il Papa di tutti" (il Papa che si è sottratto al suo dovere, il Papa che dovrebbe pregare per il peso gravoso sulle spalle e invece è scappato confuso e impaurito): nessuno sa nulla, nel mondo reale, ma per il giornale, per il popolo di fedeli e adulatori, il Papa sconosciuto è già uno di loro, un uomo grande e infallibile. Uno di noi, insomma. Meraviglioso, non viene altro da pensare: come Bellocchio anche Moretti riesce a riassumere l'Italia in un solo colpo. Che non è un semplice titolo di giornale inventato, ma la summa di un pensiero e una tendenza collettive: il desiderio stupido di empatia con il potere, la voglia supina di sentire il potere come nostro, non per appropriarcene ma per adorarlo. Habemus Papam, tra le tante cose, è anche un film sull'innamoramento collettivo della celebrità, il desiderio di massa di riconoscersi nel migliore, di inchinarsi al passaggio del re, di vestirlo di vesti sempre più ricche e rifiutarsi di vederlo come nudo.
Non lo racconta, però, dal basso, dalla prospettiva di chi adora e non chiede altro che adorare, applaudire e commuoversi per una gioia che non gli appartiene. Lo racconta dalla parte di chi è adorato e non ritiene di meritarlo, di chi si pone domande sulle proprie capacità e prova a dare una morale al suo potere.
L’avidità di sentimenti e di compassione è così intensa da aver fatto scordare a tutti il senso civile di un ruolo pubblico. Nessuno si chiede mai se cardinali, politici o professori siano adatti al ruolo che viene loro conosciuto: non c’è verifica o attenzione, ma solo, per l'appunto, adorazione. E Moretti, che se l'è chiesto qual è oggi il senso del potere (mediatico, politico, ecclesiastico), ha preso tutti in contropiede sottraendo alla nostra curiosità lo sguardo su un mondo mai visto: il suo conclave è una navicella spaziale che vive delle proprie regole e della propria assurdità.
Ci chiediamo in continuazione cosa si cela dietro le stanze del potere: ma se un tempo i cani da guardia della democrazia generavano il caso Watergate, oggi la politica è soprattutto una questione di visibilità. L'immaginazione si illude di poter partecipare al potere come se fosse cosa di tutti, quando invece la sola cosa che ci accomuna come uomini è la moralità di ogni scelta.
PS: ho scritto queste parole di getto, qualche ora dopo la visione del film, che è complesso e difficile da decifrare. Per cui, insomma, non sono il massimo della lucidtà. Mi sono sforzato, però, di non fare giochi di parole con le parole habemus e papam, che vedo ovunque e già mi fanno montare la bile, e di non citare la canzone Todo cambia, che né mi piace né ritengo fondamentale per capire meglio il film. O forse sì, non so, ma tanto ne parlano già tutti, per cui non si faticherà a trovarne varie esegesi...

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