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Lezioni di regia a Le Balzac

Creato il 16 giugno 2011 da Sulromanzo

Giovedì 16 giugno 2011, 08:05

Cinema Le Balzac
Le Cinéma Le Balzac è lì, con la sua architettura sobria, in fondo agli Champs-Élysées, all'imbocco della strada omonima. È descritto come un cinema speciale, quasi un luogo di culto dell'arte delle immagini in movimento.

Da oltre settant'anni Le Balzac esiste con lo scopo di divulgare la cultura cinematografica. L'attuale direttore, Jean-Jacques Schpoliansky, ha ereditato dal padre e dal nonno l'edificio e l'impegno culturale che esso porta al suo interno. Le sale cinematografiche furono aperte al pubblico nel 1935 con lo scopo di proiettare film e di creare un “luogo” per la cultura audiovisiva.

Oggi all'interno di Le Balzac troviamo un museo, una sezione dedicata all'animazione con incontri guidati per ragazzi e bambini; ambienti adibiti alle proiezioni di opere liriche, spazi per incontri di discussione e tanto altro.

Una volta al mese Schpoliansky con la sua equipe organizza la “Pochette Surprise”: un evento rivolto ai giovani con l'intento di educare alla storia e al linguaggio del cinema.

Un animatore ci fa strada, ci conduce all'interno di una sala pronta per la “Pochette Surprise”.

Entro anch'io, mi siedo in una comoda poltrona marrone. La sala si riempie, le luci si abbassano e la striscia di luce polverosa proveniente dalla cabina di proiezione si tuffa sullo schermo, dove leggiamo “prossimamente” e vediamo scorrere spezzoni di film di Georges Méliès, Harold Lloyd, Charlie Chaplin e Buster Keaton. Nel frattempo un uomo si siede a un pianoforte nel fondo della sala e prova alcuni accordi.

Siamo trasportati tutti nel passato: nella sala c'è un silenzio profondo.

L'animatore si rivolge a un gruppo di ragazzi e ragazze, probabilmente una scolaresca, e dice “un film va guardato tre volte. La prima volta è per seguire il racconto, la seconda è per capire la forma, cioè la scelta delle immagini e come queste sono state ravvicinate nel montaggio. La terza visione è per formare la nostra opinione riguardo al messaggio dell'autore.”

“The Playhouse” (Il Teatro) di Buster Keaton apre la serata. È un cortometraggio sperimentale realizzato nel 1921, dove Keaton crea una parodia del teatro e, sfruttando i mezzi del cinema, affronta il tema della finzione: nella prima parte interpretando tutti i personaggi di una rappresentazione teatrale e nella seconda con la simulata scena della camera da letto che non è altro che una scenografia dietro le quinte.

È un vaudeville percorso da una venatura malinconica tipica di tutta l'opera di Keaton.

Dopo questa proiezione l'animatore spiega che in “The Playhouse” l'inquadratura varia solo in scala, mentre l'angolo di ripresa, cioè il punto di vista, è ancora quello del cosiddetto “spettatore in platea”. Infatti le macchine da presa di allora non permettevano vere e proprie inquadrature in movimento.

È da tenere presente, aggiunge l'animatore, che l'inquadratura, l'angolo di ripresa e il montaggio sono gli elementi base della grammatica del linguaggio cinematografico.

Per capire meglio sarebbe opportuno fare un esperimento: girare una storia di due minuti circa concentrandosi sull'inquadratura e tralasciando i movimenti di macchina. Ma su questo esperimento, l'animatore, ritornerà più tardi.

“Sherlock Jr.” (La palla n. 13) di Buster Keaton narra la storia di un proiezionista che nutre il desiderio di diventare un detective. Durante un incontro a casa della ragazza amata viene accusato del furto di un orologio e cacciato via. Una volta tornato a lavoro, nella sua cabina durante la proiezione, si addormenta e sogna di entrare nel film che sta proiettando. All'interno di quella storia è un detective, Sherlock Jr, che riesce ad acciuffare un ladro di perle e a salvare una fanciulla rapita da dei banditi. Quando il proiezionista si risveglia trova di fronte a sé la ragazza amata, la quale ha scoperto il vero ladro dell'orologio e quindi egli sarà di nuovo accolto in casa di lei.

In entrambi i film la storia è portata avanti dalle capacità attoriale e mimiche di Keaton e dagli effetti speciali che a quel tempo venivano chiamati “trucchi”.

I vecchi film, proprio perché realizzati con macchine ancora rudimentali, ci aiutano a separare tra di loro tutte le componenti che formano un'inquadratura. Essa è priva di dialoghi, di rumori, di musica, di movimenti di macchina e quindi restano gli elementi base che la compongono:

a) il cosiddetto profilmico (il personaggio, il costume, l'arredamento, ecc.)

b) gli elementi tecnici (la luce, la porzione di spazio, l'angolazione).

La porzione di spazio contenuta in un'inquadratura dipende dalla focale e dalla distanza tra l'obiettivo e il soggetto da filmare e quindi può essere infinita; ma la pratica cinematografica ha stabilito cinque porzioni di base:

- il primissimo piano

- il primo piano

- il piano americano

- il campo totale

- il campo lungo

Detto questo l'animatore ritorna sull'esperimento dei due minuti da fare con una videocamera digitale. La nostra storia -suggerisce- dovrebbe essere composta da un paio di sequenze, ciascuna formata da inquadrature che varino nei campi e nei piani, senza movimenti di macchina, e lasciare poi al montaggio la narrazione definitiva.

Sequenze, scene e inquadrature sono le misure del racconto cinematografico, che in letteratura corrispondono rispettivamente ai paragrafi, alle frasi e alle parole.

Alcuni dipendenti entrano in sala e distribuiscono un gelato a ciascuno di noi. Ci prendiamo una pausa, ma al termine di essa l'animatore entrerà nel vivo dell'esperimento con la videocamera digitale.


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