Mentre l’Europa rivede le proprie politiche energetiche in senso antinuclearista, dal Giappone rimbalza una notizia (non molto pubblicizzata, chissà perché?!) che dovrebbe aiutarci a riflettere attentamente sulla strada che i governi del vecchio continente hanno deciso di imboccare.
Da un sondaggio condotto tra il 30 marzo e il 14 aprile da uno dei quotidiani nipponici più diffusi, il Mainichi Shimbun, emerge che le autorità amministrative delle zone che ospitano impianti nucleari non hanno alcuna intenzione di tornare sui propri passi.
Non solo. Tra i 39 sindaci e governatori intervistati, due di loro (i sindaci delle città di Takahama, nel centro del Paese, e di Tomari, nell’isola settentrionale di Hokkaido) hanno dichiarato di voler approvare la prosecuzione delle operazioni nelle centrali anche senza ulteriori misure di sicurezza contro terremoti e tsunami.
Ciò, ovviamente, non significa che le autorità abbiano sottovalutato quanto accaduto a Fukushima. Dallo stesso sondaggio risulta infatti che, per il 62% degli intervistati, devono essere riviste le norme nazionali sugli standard di sicurezza per le centrali nucleari in caso di terremoto.
Inoltre, per l’88% l’incidente di Fukushima ha «indebolito la fiducia nella sicurezza del nucleare», e per l’85% la risposta all’emergenza da parte del governo e della Tokyo Electric Power Company (Tepco) è stata insufficiente.
In sostanza, non si risparmiano severe critiche all’operato del governo e della Tepco né si nasconde il fatto che alcune certezze non sono più tali, ma la scelta nuclearista non è comunque messa in discussione.
Una posizione che meriterebbe molta attenzione, proprio perché assunta da chi ha subito in prima persona i danni provocati dalla tragedia di Fukushima. Che a mio parere rappresenta anche una lezione di razionalità e sangue freddo che molti governi europei farebbero bene a imparare, anziché correre dietro alle sirene antinucleariste il cui canto, quello sì, è davvero pericoloso.