Scriveva La Stampa solo pochi giorni fa:
Grecia, la cura funziona: dopo sei anni di recessione il Pil riprende a crescere
Atene pronta ad uscire dal programma di salvataggio Ue-FmiDopo sei anni di recessione e quattro di durissimi aggiustamenti dei bilanci, la Grecia ha presentato ieri una finanziaria che conferma una stima di crescita dello 0,6% per quest’anno e addirittura del 2,9 % per il 2015. Soprattutto, in virtù delle correzioni dei conti degli ultimi anni, il ministro delle Finanze Gikos Hardouvelis è certo di raggiungere quasi il pareggio di bilancio l’anno prossimo (un disavanzo dello 0,2%) – il primo da oltre quattro decenni. E il vero indicatore dello stato di salute delle finanze pubbliche, l’avanzo primario (la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi sul debito), schizzerà nel 2014 al 2 e l’anno prossimo addirittura al 2,9%.
Cifre che per il governo Samaras significano che l’uscita dal programma di salvataggio Ue-Fmi potrebbe essere anticipato di oltre un anno, alla fine del 2014 invece che all’inizio del 2016.
Insomma la Grecia ha “fatto le riforme”. La Grecia ha pagato un prezzo, ma ora è sul cammino della crescita. Il dolore ha funzionato, direbbe il ministro Padoan.
E invece no. Ieri la borsa di Atene – complice il cattivo giudizio di Fitch sull’affidabilità delle banche greche – è crollata, portandosi dietro anche il nostro spread, che è risalito. Ma la borsa di Atene non è caduta perché i mercati sono brutti e cattivi (lo sono, ma non è questo il punto) e non vogliono la Grecia libera dalla morsa della Troika (libera per modo di dire, visto che tornando a finanziarsi sui mercati semmai sarebbe schiava di questi). E il crollo non è stato poi così improvviso, dato che il calo dell’indice di Atene era in corso da qualche settimana.
Le spiegazioni complottistiche sono sempre semplici e consolatorie. Ma la verità è che nessuno di buon senso può pensare che la situazione economica della Grecia sia tale da renderla un buon pagatore.
Ai mercati non interessa nulla che la Grecia abbia fatto l’austerità e abbia accettato il dolore. Ai mercati interessa solo che qualcuno, in qualche modo, garantisca i titoli di Atene. Possibilmente questo qualcuno deve essere chi stampa la valuta in cui tali titoli sono denominati (vale a dire la Banca Centrale Europea).
Ancora una volta, insomma, tutte le parole sulle riforme e la disciplina fiscale per conquistare la “fiducia” dei mercati si dimostrano pura ideologia. Una cortina fumogena.
Se il governo italiano, che ancora per pochi mesi presiede l’UE, è interessato davvero a salvare il progetto politico europeo e l’euro stesso, allora deve aprire subito un conflitto sul mandato della BCE. L’imperizia o la ricerca del compromesso con la Germania non sono più scuse sufficienti.
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