Liala e Lolita
dove le metto?
di Iannozzi Giuseppe
Ne avevo parlato a lungo della scrittura sul web, anche di Pulsatilla.
Ma meglio un riassunto subito, per chiarezza: la scrittura sul Web è robaccia che neanche considero alla lontana, se non come fenomeno d’un monkey business, un lavoro perlopiù fatto dagli editor su diari inutili di ragazzine.
Sinceramente, con la spocchia che mi ritrovo, credo che anche la mia stuff sia nient’altro che stuff, cioè roba di nessun valore se non per me. Ma tanto io non scrivo per fare il blogger: l’ho detto da tempo, da tempi non sospetti, oramai cinque o sei anni or sono. Un giornalista, un critico, un rompicoglioni, un troll, tutto quel che si vuole: ma non un blogger né un poeta.
In Rete c’è molto, c’è troppo: come in una grande libreria tradizionale. Troppa roba, perlopiù inutile a sé stessa e che vive giusto il tempo d’una stagione. Che poi venga rimaneggiata da un editor, be’, chi se ne frega! Son cose che non m’interessano se non come fenomeno folcloristico, di costume sociale per studiare il momento storico, inquadrarlo e dimenticarlo: la mente ha bisogno di spazio e lo spazio d’esser riempito dalla sostanza e non dalla banalità. La banalità non fa la sostanza né mai la farà. Di libretti à la Pulsatilla la storia ne è piena, non solo quella recente: una storia che però è stata dimenticata giustamente. E’ sopravvissuta solo Liala ma con la tara d’esser appunto Liala. Bisogna saper distinguere fra una Liala o Lolita e una Virginia Woolf. Di Woolf, oggi come oggi, non ce ne sono in giro. Di Liala e Lolite tante, sino alla nausea.
Un paio di maniche sono i libri leggeri, che non disprezzo affatto, come ribadito in più occasioni, a partire da Salgari fino ad arrivare a Vincenzo Cerami/Roberto Benigni, Giobbe Covatta, ecc. ecc. Certo non mi butto su i libellini Zelig. Ma un conto è avere una editoria di libri leggeri quindi leggibili e godibili, tutt’altro conto è avere emerite stronzate e puttanate prodotte dall’industria editoriale: perché di libri normali – non dico pesanti o impegnati, tanto più che se oggi chiedi a un autore contemporaneo, ma c’è un messaggio sociale e/o politico in questo libro così bello che a me ha fatto riflettere su questo e quello? l’autore ti guarda in tralice e ti manda a cagare senza complimenti né pensarci su due volte; questo a confermare che di libri impegnati o pesanti, in realtà, pochi o nessuno, tranne quei tre o quattro imbrattacarte che continuano a dirsi “pasolini” con tanto di je accuse ma solo per vendere o meglio farsi pubblicità – manco l’ombra, tranne nell’ostinazione di volerli cercare tra gli scaffali impolverati delle librerie, e in edicola quando ormai si è al limite della disperazione.
Editoria leggera sì, ma che si possa leggere senza dover dar di stomaco e senza esser costretti a spararsi Valium a gargarella per illudersi che la bullshit che hai in mano è un libro divertente.
Ladies and Gentlemen, per favore, lasciamo perdere Silvio Muccino: pietoso, neanche lo considero in veste di inventato scrittore. Che si scrivano tanti librettini e che poi vengano pure pubblicati da grossi editori è una vera vergogna. Per l’Editoria ovviamente. Gli “scrittorini”, quelli la vergogna non sanno nemmeno dove sta di casa. O meglio: sanno a chi bussare sempre due volte due, al campanello del loro editore. Si vendono instant book, librettini sfornati dalle improbabili penne di vip e attorucoli alla moda dell’ultimo grido e dell’ultima risata, si vendono soprattutto librettini senza alcuna sostanza: ma è normale, difatti l’italiano medio ha il cervello grande quanto una nocciolina. L’italiano medio è oramai così abituato a prenderselo in quel posto che non protesta neanche più: anzi, s’impegna perché glielo mettano dabbasso sempre più a fondo. L’italiano medio non è un essere pensante, non è neanche più il prototipo d’un Fantozzi: Fantozzi si ribellava al sistema, nel suo piccolo. Si ribellava e le prendeva di santa ragione. Oggi non ci si ribella più, per niente: si muore come buoi ottusi, ma sin tanto che si è in vita si accetta di stare a novanta gradi e di leggere qualsiasi bullshit, purché abbia in copertina la firma d’un vip o d’una puttana o d’un american o italian gigolò.
I cartoons sono radicalmente cambiati, non solo quelli nipponici, ma anche quelli statunitensi: una cosa soltanto li accomuna, non hanno né una storia né una trama. Sono soltanto delle immagini che scorrono sul video, che penetrano il tubo catodico e, ahinoi, anche le teste delle nuove generazioni. Cartoni animati come Goldrake, Starzinger, Mazinga, Lady Oscar, avevano una trama una storia, una morale addirittura: guardarli era un piacere perché la fantasia si sposava a generi letterari e cinematografici come la fantascienza, l’avventura, l’horror. Oggi, coi Pokémon e i loro cloni siamo di fronte a cartoons vuoti di significato/i: la vuotezza è il solo messaggio che sono in grado di trasmettere. Ma parrebbe che il mercato voglia “la vuotezza”, perché, forse, i cervelli delle nuove generazioni sono sol più capaci di comprendere il Niente
Fare il Critico – con la C maiuscola – comporta non solo di leggere il libro; si deve esser conoscitori del mondo, della vita. Il critico-topo-di-biblioteca è un personaggio inutile, incapace di valutare un’Opera, e soprattutto incapace di riconoscerla l’Opera quando ce l’ha sotto il naso. Purtroppo oggi i critici sono molto legati agli interessi degli editori.
I tempi cambiano, i critici anche, ma questi “tempi moderni” migliorano esclusivamente in peggio.
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