Libano: le difficili alchimie per eleggere un Presidente

Creato il 17 maggio 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43                                                                                                                                                                          Google+

Beirut, 14 febbraio 2005 : un attentato uccide Rafiq Hariri e con lui altre venti persone. Uomo della ricostruzione del Libano dopo la guerra civile, sunnita, amico dei Sauditi e degli Americani, spregiudicato business-man era fra i 100 uomini più ricchi del mondo. Capace altresì di destreggiarsi a lungo con la presenza dei militari siriani in terra libanese dopo la fine della guerra civile. L’attentato provocò tre conseguenze immediate e un’altra a lungo termine.  

I funerali  di Hariri furono la scintilla della Rivoluzione dei Cedri. La sollevazione popolare nel nord del Libano, dove sopravvivono ancora tratti boscosi dei maestosi cedri, accusava la confinante Siria d’essere mandante dell’assassinio. Apparentemente almeno, il governo siriano si era già liberato del recalcitrante Hariri che l’anno precedente si era dimesso da Primo Ministro dichiarando di abbandonare la politica, ma l’accusa servì a puntare il dito contro gli amici della Siria, i potenti Hezbollah, come esecutori  dell’attentato. Una quarta conseguenza è cresciuta col tempo e si manifesta  ora chiaramente nello stallo del Parlamento chiamato a eleggere  – entro il 24 maggio –  il nuovo Presidente del  paese.

Il Libano è una democrazia dove l’opinione pubblica è spartita tra una ventina di confessioni religiose e le alte gerarchie  militari; un paradosso considerando che è il paese medio-orientale dai costumi più occidentalizzati. In conseguenza dell’attentato si sono formate due grandi coalizioni, abbastanza simili nella forza parlamentare, nelle quali sono confluite parti politiche che in passato si erano combattute. 

L’Alleanza 8 marzo nata con la grande manifestazione indetta a Beirut, in risposta alla Rivoluzione dei Cedri, per difendere la Siria dall’ accusa. E’ prevalentemente formata e guidata dal partito sciita degli Hezbollah e comprende anche Amal, altra formazione sciita fondata dal sempre compianto imam Musa Sadr, misteriosamente scomparso in Libia o a Roma. Un mistero non ancora svelato.  Vi aderiscono altre forze leali alla Siria e più di recente i laici del Free Patriotic Movement, che inglobano fazioni di Cristiani Maroniti dopo la svolta del leader, generale Michel Aoun, che per gran parte della vita militare e politica aveva combattuto la presenza siriana in Libano.  In Parlamento l’Alleanza dispone di 57 seggi. 

L’Alleanza 14 marzo è stata il canale politico della Rivoluzione dei Cedri. Il partito dominante è il Future Movement, che inquadra la maggioranza dei musulmani Sunniti ed è guidato dal figlio di Hariri, Saad. Alla 14 Marzo aderiscono il Partito Socialista della setta musulmana dei Drusi, guidato da Walid Jumblat; l’estrema destra dei Cristiani Maroniti suddivisi in due formazioni di cui la principale è detta Forze Libanesi guidata dal generale Samir Geagea. Complessivamente l’Alleanza 14 Marzo oggi, dopo la scissione del FPM, conta in Parlamento su 53 voti.

La suddivisione delle cariche istituzionali

L’alchimia istituzionale del Libano è basata su un mix di dati confessionali e demografici, questi ultimi risalenti a un censimento antecedente la seconda guerra mondiale.

Michel Suleiman

Attribuisce ai Cristiani Maroniti la Presidenza della Repubblica, ruolo rappresentativo  dell’unità nazionale attualmente  ricoperto dal generale e capo di Stato Maggiore  Michel Suleiman, insediato nel 2008 dopo lunghe trattative mediate dal Qatar.  

Tammam Salam

Alla maggioritaria componente Sunnita compete la carica del Primo Ministro.   Al presente, dopo quasi un anno si trattative per formare la compagine di governo, è Tammam Salam, che riesce a mantenere propri buoni rapporti con le due Alleanze rivali.

Nabih Berri

Riservata alla componente Scita la carica di Presidente del Parlamento; attualmente è ricoperta da Nabih Berri, esponente di Amal.

I “Padrini” stranieri

Le confessioni religiose sono la base della vita istituzionale, ma non sono indipendenti.  Talal Salman,  direttore del quotidiano di sinistra  As – Safir  incontrando la delegazione italiana  della Carovana Libano  nell’elegante sede del giornale premette  “la religione più potente in Libano è quella delle Banche ” alla descrizione di un quadro politico in cui ogni partito ha come proprio referente uno stato straniero, il quale ha all’interno delle Istituzioni libanesi i propri  più o meno ufficiali rappresentanti. Se Hassan Nasrallah, carismatico capo di Hezbollah, è la voce dell’Iran, Saad Hariri “è” l’Arabia Saudita” e gli Usa in Libano, mentre la Francia è legata sia al FPM  di Aoun che alle Forze Libanesi di Geagea.

Com’ è facile intuire, i vari paesi piegano il Libano al proprio business.
L’esercito libanese è privo di forze aeronautiche e di altri mezzi moderni, i Sauditi hanno deciso d’investire 3 miliardi di $ per  potenziarlo e si sono accordati con la Francia per le forniture. Si può pensare che lo scopo saudita sia controbilanciare il settore militare avanzatissimo degli Hezbollah, tuttavia - si legge in un articolo di As-Safir -  secondo l’esperto francese di strategia militare Richard Labeviere “ L’Occidente non permetterà mai l’esistenza di un esercito libanese forte e ben armato  perché c’è la convinzione che ciò sarebbe una minaccia per Israele”. In sostanza, l’annuncio si concretizzerà per la Francia nell’ottenimento di commesse e fondi dei  Sauditi , i quali con questa mossa  convogliano consensi sul partito e sull’entourage affarista  degli Hariri.  A dare solennità internazionale al business franco-saudita  concorrerà anche l’Italia che in giugno ospiterà una conferenza, un pò avversata dagli Usa per la verità,  “a sostegno dell’esercito libanese”. C’è dell’indifferenza per la sicurezza e la stabilità del Libano in tutto questo, perchè l’esercito, in questo paese di grandi divisioni, è visto come l’ente super partes e gode dell’incondizionata fiducia dell’intera popolazione, lo prova la tradizione che assegna sempre a un generale la carica di  Presidente della Repubblica. Dichiarare l’obiettivo di un suo rafforzamento,  mentre avvengono scontri di frontiera con l’esercito siriano, potrebbe risvegliare antichi fantasmi.

Il Parlamento bloccato 

Parlamento

25 maggio: scade il mandato presidenziale.  L’uscente Suleiman non è disponibile alla prosecuzione dell’incarico. “Non sarebbe una soluzione democratica”, ma questa tassativa dichiarazione è messa in dubbio da alcuni, mentre altri credono che lo stallo in cui è incorso il Parlamento non si risolverà entro il termine. “Ci saranno mesi di trattative, arriveranno ad accordarsi su un nome solo in settembre” risponde alla mia richiesta di previsioni uno dei giornalisti che stazionano nella piazza al cuore di Beirut davanti al palazzo del Parlamento.  

Non sarebbe una novità mancare l’elezione nei giusti termini. Era avvenuto nel decennio scorso e il ruolo era stato temporaneamente assunto dal Primo Ministro. Sarebbe ora una soluzione praticabile concentrare le due massime cariche istituzionali nelle mani del  rappresentante della componente sunnita che ha una posizione  critica sull’aiuto militare che gli sciiti Hezbollah  danno al governo siriano contro gli insorti? C’è da dubitarne.

Per  l’elezione occorrono  65 voti, su 128,  che nessuna delle due coalizione possiede.  La Prima votazione  era fallita il 23 aprile,  così le due successive e la quarta del 15 maggio. Se il non-risultato si ripeterà all’appuntamento del 22 maggio si creerà un vuoto di potere, dicono gli osservatori,  in un paese che ha un disperato bisogno di leadership per affrontare una ricaduta di violenza dalla vicina Siria  più di un milione di profughi della guerra civile , e un deficit di bilancio  impressionanteIn realtà, dal momento che la carica presidenziale ha minori poteri effettivi di quella del capo del governo, quello che accadrebbe sarebbe il prolungarsi della dispersione dell’attività politica rispetto ai  problemi reali del paese e un’ulteriore perdita d’immagine internazionale.

 Le tattiche dei due blocchi variano: far mancare il quorum, votare scheda bianca, presentare un candidato manifestamente inaccettabile.

Samir Geagea

Quest’ultima  sembra la preferita dall’Alleanza 14 Marzo che ha indicato Samir Geagea, il quale molto si sta adoperando sulla scena internazionale viaggiando fra Arabia Saudita ed Europa, accusando i correligionari Maroniti della coalizione avversaria per lo stallo cui è giunto il Parlamento. La verità è che mai gli Sciiti, fiancheggiatori dei profughi Palestinesi, convergeranno sul nome di Geagea  che fu alleato di Israele durante la guerra civile. E lo dichiarano apertamente.

L’Alleanza 8 marzo non ha avanzato candidature ufficiali e segue la tattica del boicottaggio delle sedute. Si limita a far trapelare che  potrebbe accettare l’ex-ministro e indipendente Jean Obeid o il governatore della Banca Centrale, Riad Salameh. L’Alleanza è priva di ambiguità su un solo punto: è disponibile a votare esclusivamente candidati fortemente schierati a difesa della sovranità territoriale del Libano, in altre parole: che non abbiano agganci con Israele.  “Non vogliamo un presidente che lavori per mantenere la sovranità secondo calcoli internazionali e regionali, vogliamo un presidente che protegge e sostiene la resistenza”.

Michel Aoun

Secondo i rumors, il nome con qualche possibilità di diventare il candidato di largo consenso è quello del generale Michel Aoun, Maronita nel campo dell’Alleanza 8 Marzo e capo del  FPM.  Fonti anonime di Hezbollah  fanno trapelare che potrebbe avere il loro voto qualora si candidasse, ma il generale è deciso a esporsi solamente se si conclude una preventiva intesa fra le due coalizioni. 

Si lascia scorrere il tempo nell’attesa che l’Alleanza avversa faccia il primo passo chiaro, ma chi è addentro ai misteri libanesi sa che le trattative vere avvengono all’estero, fra Riad e Teheran,  e che non si potrà eleggere  il Presidente del Libano fino a che Iran e Arabia Saudita non ne comunicheranno il nome alle due Alleanze. A quel punto si arriverà ad un Presidente consensuale, di cui il paese ha un estremo bisogno.

…..non manca il Gossip

Lo star system si mobilita. Qualora ne derivassero vantaggi, andrebbero all’Alleanza  14 Marzo.

Elissa

Samir Geagea, capo delle Forze Libanesi,  fruisce del dinamismo propagandistico della cantante ELISSA, che lancia accuse agli Hezbollah per l’intervento in Siria e partecipa alle riunioni delle Forze Libanesi con sprezzo del pericolo di perdere settori del suo pubblico.

Il Partito Socialista Progressista di Walid Jumblat vanta dalla sua addirittura un fidanzamento da jet set. L’avvocatessa internazionale Amal Alamuddin, di fede religiosa drusa, convolerà con George Clooney. Una vera svolta nella religiosità dei Drusi che tradizionalmente scoraggiano i matrimoni con persone di fede diversa, ma davanti a George Clooney… Il portavoce del partito è deliziato della novità e in un sondaggio in rete del quotidiano Now Lebanon c’è perfino un 1 % di votanti che dà preferenza a Clooney come futuro presidente libanese.

Amal e George


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