Lo scorso venerdì, intorno alle ore 16 italiane, una bomba è esplosa al passaggio di un mezzo UNIFIL con a bordo militari italiani lungo l'autostrada da Beirut a Sidone, nei pressi del fiume Awwali, lo stesso luogo in cui il 1 agosto 2008 fu compiuto un attentato dinamitardo contro i caschi blu irlandesi. L’attentato ai caschi blu italiani a Sidone va inserito all'interno del contesto regionale e internazionale, ma anche della cronica debolezza interna che pone il Paese, tradizionalmente, come un terreno di scontro “privilegiato” fra i numerosi interessi contrastanti. Infatti, sia la situazione interna – caratterizzata dalla fuoriuscita di 11 ministri di Hezbollah dal governo di colazione Hariri, congiuntamente al verdetto di condanna del Tribunale Speciale per il Libano che ha incriminato alcuni suoi membri per l'omicidio di Rafiq Hariri –, sia quella regionale – con le rivolte siriane e con il sempre difficile rapporto con Israele che pongono il Paese dei Cedri direttamente interessato alle possibili evoluzioni nell'area – rappresentano fattori di instabilità da non sottovalutare.
Secondo la Banca Mondiale, il Libano possiede un’economia aperta e di piccole dimensioni, fondata sul settore dei servizi. Gli altri settori che aiutano ad implementare il PIL libanese sono l’attività estrattiva per l’industria del cemento e l'agricoltura. L'economia libanese è basata essenzialmente sui servizi e sull'import-export che rappresentano un settore fondamentale della ricchezza nazionale. Il calo di questi settori indica un rallentamento della produzione inevitabilmente tradotta in una contrazione della ricchezza. Pur essendo un'economia solida rispetto alle altre della regione, permangono alcune criticità. Come osservato dall'Economist Intelligence Unit, il PIL libanese è diminuito nell'ultimo biennio (dal 7.5% al 6.2%). L'alta corruzione (su una scala di valori da 0-9 stilata da Transparency International, il Paese è al livello 3), l'alto livello della disoccupazione giovanile (secondo l'UNDP il dato è al 55%), l'elevato debito pubblico (pari al 150% del PIL), l'alta percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà (il 28%, ma comunque al di sotto della media regionale), il farraginoso apparato burocratico e la crisi economica globale, hanno influito ad peggioramento dell'economia nazionale. Ad ogni modo, i dati macro-economici sono influenzati, in maniera determinante, dalla precaria situazione interna e dal caotico contesto regionale.
In questo momento, il Libano è un Paese con un governo debolissimo, retto da un contestatissimo nuovo Primo Mnistro, Najib Miqati, un ricco milionario sunnita sostenuto da Hezbollah e da Nasrallah in persona. Le condizioni economiche e sociali del Paese sono peggiorate negli ultimi tempi e l’attentato di venerdì non fa che sottolineare questa situazione di tensione e rischi. Le tensioni tra Hezbollah e Al-Mustaqbal, guidato dall’anti-siriano Saad Hariri, figlio di Rafiq, e, più in generale, tra sunniti e sciiti, si erano aggravate quando la scorsa estate si erano fatte sempre più pesanti le accuse verso Hezbollah di essere gli esecutori dell’attentato in cui perse la vita Rafiq Hariri, nel 2005. Queste accuse, confermate dal verdetto del Tribunale Speciale per il Libano, hanno aperto una lunga crisi politica da cui il Paese non riesce ad uscire. Il nuovo Premier non riesce a coagulare intorno a sé tutte le anime politiche di cui il Paese si compone, perpetrando così una diffusa instabilità. Il momento è quindi particolarmente teso. Chi vuole governare il Libano deve fare i conti con Hezbollah, uno dei poteri forti della politica nazionale libanese. Hezbollah controlla tantissime zone importanti del territorio libanese. Oltre ad avere sotto controllo interi quartieri di Beirut, ha le sue zone di influenza più radicate nel Sud, ai confini con Israele, strategicamente e militarmente importanti. Pertanto chi vuole governare in Libano non può far a meno degli sciiti. Anche i drusi, però, risultano essere decisivi nella stabilità della nazione. I Drusi sono una piccola comunità di origine musulmana guidata, in Libano, da Walid Jumblatt, anch'egli un milionario libanese parte del movimento anti-siriano “Coalizione 14 Marzo”. Jumblatt, a differenza di Hariri, si è dichiarato disponibile ad avviare trattative con Hezbollah e, pertanto, una sua alleanza con gli sciiti potrebbe risultare decisiva nel rilancio politico del Paese. Infatti, una rapida soluzione dei problemi interni potrebbe evitare il diffondersi della Primavera Araba anche nel Paese, in quanto l'instabilità politica libanese si riflette irrimediabilmente anche nel contesto regionale. Ad oggi, la situazione è ancora molto incerta e il futuro del Libano è legato al senso di responsabilità delle sue forze politiche e sociali. Se sapranno unirsi, cercando di far prevalere il sentimento nazionale, ci saranno meno probabilità per un risvolto rivoluzionario. Questo risultato potrebbe essere favorito, anche, grazie alla difficile situazione dei due vicini più prossimi Siria e Israele. La Siria ha sempre influenzato la politica del Paese, ritenuto da sempre parte integrante del disegno politico e storico della “Grande Siria”. Lo dimostrano gli eventi di questi anni e l'alleanza che l'alawita Assad ha stretto con gli sciiti di Hezbollah. Al momento attuale, il regime di Assad è troppo preso dalle proteste interne e dalle possibili ricadute su altri Paesi dell'area. Le preoccupazioni relative alla Siria lasciano spazio a quelle relative ad Israele. Le varie invasioni subite dal Libano (nel 1982 e nel 2006) e le varie guerre susseguitesi hanno alimentato molta diffidenza e hanno incancrenito anche i rapporti politici e diplomatici tra i due Paesi. La situazione difficile farebbe propendere, per lo più, ad un mantenimento dello status quo. Nessuno vuole un nuovo conflitto perché complicherebbe ulteriormente il quadro regionale. Avrebbe riflessi diretti verso i vicini e verrebbe utilizzato dall’Iran per rafforzare la sua posizione, trasformandosi in un vero egemone regionale. Si accrescerebbero così, ovviamente, i timori dell’Arabia Saudita e degli stessi Stati Uniti che non potrebbero rimanere impassibili di fronte ad un ulteriore rafforzamento iraniano. Per evitare tale rischio, sauditi e siriani, poco tempo fa negoziarono un compromesso: Hezbollah avrebbe accettato senza reagire la sentenza di condanna di taluni suoi membri, mentre il primo ministro Saad Hariri si sarebbe dimesso – anche se questi non ha accettato. Oggi, però, le premesse sono cambiate a causa delle rivolte che stanno rimodellando la geopolitica della regione, ma pare evidente che la crisi dell'area potrebbe favorire, paradossalmente, la riconciliazione nazionale. Questa potrà essere raggiunta solo se ognuna delle componenti di questo intricato puzzle accetterà di ridimensionare il proprio potere per il bene nazionale. Sebbene il quadro interno rimanga preoccupante, le volontà degli attori regionali di mantenere almeno il Libano stabile, sembrano escludere, in tempi brevi, che il Paese dei Cedri possa essere sconvolto da rivoluzioni. Il Libano, comunque, non deve ritenersi al sicuro da eventuali contraccolpi regionali. * Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)