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Non sono le liberalizzazioni il vero nemico LIBERALIZZAZIONI SÌ, LIBERALIZZAZIONI NO Anche nel TPL non è il mercato a far paura, sono certi mercanti che debbono essere evitati Nell’ultimo decennio, sostenuta da una sempre più nutrita schiera di economisti neo liberisti, la parola d’ordine imperante è: LIBERALIZZAZIONI. Qualche esperto più oltranzista, si spinge a sostenere una ricetta ancor più rigorosa, basata su privatizzazioni spinte di interi comparti dei servizi pubblici, sulla scorta di una diffusa opinione secondo la quale pubblico è sinonimo di spreco, inefficienza e scarsa qualità dei servizi. Il che può essere spesso vero, ma non a causa di un’intrinseca incapacità del sistema pubblico di generare servizi efficienti e con buoni standard qualitativi, ma piuttosto per una progressiva degenerazione dell’intera Pubblica Amministrazione di questo Paese. Una PA sempre più vittima di incapacità gestionali e corruttela diffusa. Peraltro, non è dimostrato che privatizzare sia sempre la soluzione corretta per eliminare le inefficienze, visto che il privato “convenzionato” cade nelle stesse anomalie del pubblico. In questo mesi, la congiuntura economica negativa ed il taglio ai finanziamenti statali, ha portato sotto i riflettori il caso Trasporto Pubblico Locale. Un po’ tutte le Regioni - a cui, a partire dall’introduzione della Riforma del Titolo V, è demandata in maniera esclusiva la regolamentazione e la gestione del settore – vivono una grossa difficoltà. Ma Piemonte, Lazio e Campania sono quelle che, per motivi diversi, hanno serissimi problemi riguardo alle aziende di trasporto pubblico. Chi ha la sventura di leggermi con costanza, conoscerà ampiamente il mio parere sulle responsabilità storiche di questa situazione di crisi fallimentare: troppi anni di allegra gestione che confidava sulle ingenti risorse trasferite dal Governo nazionale. Prosciugatosi quel canale di finanziamento, le difficoltà insite in un sistema malato sono emerse con tutta la loro potenza devastatrice. Tra l’altro, chi scrive non è pregiudizialmente contrario alle liberalizzazioni. Anzi, quando e dove sono state portate avanti fino in fondo, si sono dimostrate utili per i cittadini/consumatori ed hanno provocato una crescita esponenziale del settore. Tipico caso è la telefonia mobile, dove assistiamo ad una concorrenza fra il vecchio monopolista di Stato ed almeno altri tre seri contendenti (Vodafone, Wind e 3). Questa positiva forma di concorrenza ha contribuito a ridurre progressivamente le tariffe, ha migliorato l’offerta complessiva ed ha creato nuove occasioni di occupazione. Il tutto producendo entrate erariali derivanti dall’iniziale gara per l’attribuzione delle licenze. In Campania, soprattutto, nel TPL la situazione è oggi davvero esplosiva. Le aziende del settore, siano esse pubbliche che private, rischiano quotidianamente di dover esser costrette a “portare i libri in tribunale”. Complessivamente, le aziende hanno accumulato un debito prossimo al miliardo di euro (la sola EAV dichiara circa 500 milioni). Proprio in EAV, dopo una lunga serie di decisioni, presentate come risolutive, ma poi dimostratesi impraticabili, è spuntata l’ipotesi liberalizzazione /privatizzazione su cui, per qualche giorno, si è incentrato il dibattito mediatico. Come ho scritto qualche giorno fa, alla base di questa ipotesi esisteva un documento ufficiale, la ormai famigerata Delibera n° 340. L’ipotesi circolata, non era frutto, però, di un complessivo progetto di liberalizzazione, seguito dall’ingresso di un nuovo operatore (così come avvenuto nell’Alta Velocità, dove a Trenitalia si è aggiunta NTV). In questo caso, si trattava, semplicemente, di cedere ad un privato (o farlo compartecipare in una società “mista”) un ramo aziendale che, isolato dal generale contesto di inefficienza e depurato da ogni pregresso peso debitorio, avrebbe potuto, fin da subito, produrre utili. Insomma, operazione a costo e a rischio zero, ma con immediati ricavi ottenibili per chi senza, o con scarso, investimento si sarebbe ritrovato a gestire una fiammante nuova realtà imprenditoriale, o meglio “ prenditoriale”. Quella Delibera, invece, a quanto abbiamo appreso ieri, per espressa dichiarazione del vertice EAV, era stata male interpretata nel suo contenuto concreto. La esegesi autenticaavrebbe chiarito ai sindacati che non di progetto da eseguire rapidamente trattavasi, ma di semplice “ricognizione” per assumere dati da utilizzare per altre finalità. Questa interpretazione ha trovato, ovviamente, ampio consenso nei sindacati che erano accorsi, invece, agguerriti perché loro (ma tutti gli osservatori) avevano “capito male” il reale obiettivo della Delibera. Ma se chi ha emesso il messaggio lo ha meglio spiegato, non si può che credergli. Sembrerebbe, quindi, un qui pro quo ampiamente chiarito ed, in fondo, un successo indiretto dei Sindacati. Eppure, e non per fare il menagramo, credo che non ci sia da stare allegri. Innanzitutto, il reale tenore della Delibera era, ed è, chiaro a tutti. Che poi chi la aveva firmata si sia in qualche modo salvato in corner, invocando l’incomprensione del messaggio, è un altro discorso. Anche se, a questo punto, la colpa del misunderstanding dovrebbe essere addossata al materiale estensore della Delibera, co-firmatario della stessa. Delle due l’una: o il messaggio era stato scritto correttamente, ed allora vuol dire che la correzione di rotta è un’implicita ammissione di errore nella strategia; oppure, il materiale estensore della stessa non ha saputo cogliere l’intima volontà del dichiarante e, quindi, andrebbe in qualche modo severamente redarguito. Ma niente di tutto ciò avverrà, perché tutti hanno interesse a credere all’ultima versione dei fatti. Ed anche questo scivolone passerà in cavalleria . Ma, pur volendo fingere che tutti noi lettori abbiamo preso “vacche per carabinieri” e che, quindi, accogliamo per buona la seconda versione interpretativa, anche in questo caso, nulla muta relativamente alle drammatiche problematiche che avevano reso necessaria la scelta di deliberare. Si è fatto un passo indietro sulla scelta della privatizzazione? Bene, anzi benissimo. Ma i problemi restano intatti, anzi, risultano ulteriormente aggravati dall’ennesimo tentativo abortito di trovare una soluzione. Fusione sì, fusione no. Liberalizzazione sì, liberalizzazione no. Privatizzazione forse, privatizzazione giammai. Questa l’altalenante sequela di annunci provenienti dai vertici EAV. Ogni volta ci si è fatto credere che fossi in presenza di un’imminente svolta decisiva, salvo poi ricredersi nel volgere di pochi mesi. Stavolta, poi, si è battuto ogni record di rapidità: pochi giorni per affossare il progetto (non progetto) della privatizzazione del ramo Trasporto . Più che decisioni manageriali, frutto di un’analisi approfondita e figlie di una strategia condivisa, sembrano gli “sterili capricci” di un quasi ottuagenario in preda ad uno stato di instabilità tipico della quarta età. Ma, ovviamente, di sola impressione personale si tratta, perché è indubitabile che la situazione è saldamente sotto controllo, così come appare evidentissimo a tutti. Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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