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Liberiamo questi magnifici film dalla gabbia

Creato il 25 ottobre 2013 da Lundici @lundici_it

Grandi autori e grandi interpreti hanno rinchiuso i loro film dentro a un carcere per raccontarci l’importanza di non arrendersi alle gabbie, la necessità di restare umani, l’orgoglio di non arrendersi. Perché il carcere è un microcosmo che rispecchia le dinamiche universali della vita che, in quelle condizioni estreme, emergono in maniera dirompente.

FILM DE CHEVET

Chevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé. I film de chevet sono grandi classici, capolavori assoluti, piccoli film dimenticati, opere minori dimenticate, film recenti che non hanno avuto il successo che meritavano … film che consigliamo di vedere e rivedere.
Dall’amore ai tradimenti, dai cartoni animati all’horror, dai viaggi alla famiglia, dai drammi storici ai porno …
il ricchissimo archivio dei film de chevet dell’Undici

“Un profeta” Jacques Audiard, ”Dumbo“I soliti ignoti” ”Fuga di mezzanotte”, “Vallanzasca”
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L’inferno è nella città, dentro ci sono anche degli angeli che noi non vedremo mai

“Nella città l’inferno” di Renato Castellani, Italia, 1958.
Con Giulietta Masina, Anna Magnani, Cristina Gajoni, Myriam Bru, Renato Salvatori

Genere: drammatico, carcere, donne al bivio, film con Anna Magnani.
Consigliato: donne che si fidano dei fidanzati, amanti del neorealismo.
Sconsigliato: moralisti, odiatori del dialetto romanesco.

“Quando uno finisce in galera, la gente pensa “poveraccio” oppure “se lo merita”… però manco se l’immaginano quello che se vede qua dentro”

L’innocente Lina (Giulietta Masina) finisce ar gabbio (alle Mantellate, sezione femminile del carcere romano di Regina Coeli, così detto dal nome dell’Ordine di religiose che lo governava) per furto, per il fidanzato e perché è come è: povera, ingenua, provinciale e ignorante, emigrata a Roma negli anni Cinquanta a fare la serva. Lì dentro, un altro mondo (o un mondo “altro”, fate voi), che la cambierà per sempre. La sua Virgilio nei gironi delle patrie galere è Egle (Anna Magnani), delinquente abituale, cinica e affascinante. Nel carcere le loro vite si incontrano con molte altre, tutte segnate soprattutto dalla povertà, molte dal rifugio nelle mortali illusioni salvifiche. Tra il neorealismo e qualche concessione alla lacrima stile Raffaele Matarazzo, Castellani (insieme a Suso Cecchi D’Amico alla sceneggiatura) costruisce un film intenso su un argomento poco amato dal cinema, il carcere femminile; ne fa una lettura attenta e molto “sociale”. Magnani e Masina mettono in scena due caratteri per loro quasi naturali: la prima arrogante e sfrontata, la seconda bambinesca e naïf, pronta a inattese mutazioni.

Da vedere cantando le Mantellate insieme al buon fantasma di Gabriella Ferri:
“le Mantellate so delle suore, ma Roma so soltanto celle scure .
Na campana sona a tutte l’ore, ma Cristo nun ce sta drent a ste mura.
Ma che parlate a fa? Qui dentro ce sta solo infamità.”

escape from alcatraz

Quando compi gli anni?
Non lo so.
Cristo, che razza di infanzia hai avuto?
Breve…

“Fuga da Alcatraz” (Escape from Alcatraz) di Don Siegel, USA, 1979
Con Clint Eastwood, Patrick McGoohan, Robert Blossom, Fred Ward, Paul Benjamin

Genere: carcerario, escape, eroico, film con Clint Eastwood.
Consigliato: a chi ama il cinema classico, a chi cerca via di fuga impossibili, a chi subisce il fascino degli antieroi solitari, a chi crede ancora che Clint Eastwood sia un eroe di destra
Sconsigliato: a chi disprezza i film classici, a chi chiuderebbe tutti in gabbia, a chi non ama Clint Eastwood s

“Dieci anni fa stavo in un bar in Alabama e due stronzi hanno cominciato a darmi addosso: è stato il loro primo sbaglio. Tirarono fuori i coltelli ed è stato il secondo sbaglio. Non sapevano neanche usarli e questo è stato l’ultimo sbaglio che hanno fatto…”

Nel carcere più duro tutti si dicono innocenti ma è un proclama che suona surreale. Tutti sognano di scappare ma nessuno c’è mai riuscito.
Mettete dentro il carcere di sicurezza di Alcatraz l’eroe solitario Clint Eastwood, l’eroe del vecchio sogno americano che non si ferma mai, che non abbassa mai la testa e che per una combinazione astrale (o più probabilmente divina) riesce sempre ad arrivare dove vuole. Il prezzo che paga è sempre enorme, ma Clint ce la fa. Questa volta tra soprusi delle guardie, guerra tra bande, privazioni e alienazioni, anche per lui sarà durissima, ma anche saprà tirare fuori in coraggio dove c’è paura, l’umanità dove c’è bestialità, la caparbietà dove c’è rassegnazione. Fate così anche voi: fidatevi della guida morale del vecchio Clint e riuscirete a fuggire dalle vostre gabbie.
Il regista progressista Don Siegel dirige con maestria l’amico reazionario Clint Eastwood in un film bellissimo con tutti gli i buoni ingredienti di una volta al posto giusto.

Da vedere fidandosi di chi si ha attorno anche quando non ci si può più fidare di nessuno

“Nick mano fredda” (Cool Hand Luke) di Stuart Rosenberg, USA, 1967
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Sarei disposto ad avere 37e2 tutta la vita per assomigliare a Paul Newman almeno la sera di Capodanno (più o meno cit.)

Con Paul Newman, George Kennedy, Harry Dean Stanton, Lou Antonio, Dennis Hopper.

Genere: carcerario, ribelle, film con Paul Newman
Consigliato: a chi non tradisce le proprie idee, a chi piacciono gli eroi perdenti che non si piegano mai,
Sconsigliato: a chi preferisce accettare compromessi, a chi non vuole vedere film duri ed eroi belli ma malconci.

 [Nick scappa e si rifugia in una Chiesa]“Vecchio, almeno tu ci sarai, no? Se hai un minuto sarà il caso di farci un discorsetto. Sono un tipo poco raccomandabile: ho ammazzato gente in guerra, mi ubriaco spesso e sfascio tutto quello che mi capita a tiro. Quindi non ho pretese da avanzare, ma anche tu devi ammettere che non mi dai più buone carte da diverso tempo.
Ho l’impressione che tu abbia organizzato la mano in modo che io non possa vincere.
In galera o in libertà leggi, regolamenti, padroni … ma dato che tu mi hai fatto così, puoi dirmi dove posso sistemarmi?
Senti Vecchio, parliamoci chiaro: sono partito a tutta birra da giovane, ma ora ho il fiato grosso, quando finirà? cos’hai in pentola per me? che devo fare adesso? … ho capito, e va bene: mi sono messo in ginocchio… è proprio quello che pensavo, sono un tipo difficile da recuperare, vero? un gran testone, vero? ho paura che dovrò trovare la soluzione da me.”

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Senti vecchio, ridistribuisci il mazzo che questo si merita una mano migliore

Un ragazzo più ribelle che sbandato nella provincia americana che non offre nulla a chi non si allinea ai valori dominanti. Una sbronza che finisce peggio del previsto e Nick viene condannato ingiustamente a 2 anni di lavori forzati.
Nick è Paul Newman, più bello che mai, più ironico e provocatore che mai. E non abbassa mai la testa, lui ha ragione e basta, non si adatta, non si piega e non si lascia spezzare. E così il mondo si accanisce su questo tipo solitario senza santi neé eroi. E tu vorresti aiutarlo, vorresti farti ascoltare, vorresti dirgli di abbassare lo sguardo e far finta di niente… ma uno come Nick Mano Fredda è abituato a non abbassare lo sguardo davanti ai potenti e a non dare ragione agli ipocriti, figuriamoci se può dare ascolto a qualcuno.
Citato come meraviglioso esempio di ribelle senza una causa che non sia l’anticoformismo e l’antiautoritarsimo il nostro amato Paul tirerà dritto fino in fondo. Poi tutti lo rimpiangeranno, perché di facce come la sua non he hanno fatte più.

Fatevi belli, bellissimi prima di vedere questo film, e non abbassate lo sguardo, neanche durante le scene più dure

brubaker robert redford

Ogni carcere tirerà fuori il peggio da ogni uomo, ma non abbrutirà quel figo di Robert Redford.

“Brubaker, di Stuart Rosenberg, USA, 1980
Con Con Robert Redford, Yaphet Kotto, Jane Alexander (I), Morgan Freeman, David Harris

Genere: drammatico, carcerario, film con Robert Redford.
Consigliato a chi crede nel potere redimente del carcere; ai patiti di robertredford
Sconsigliato a chi “metterli dentro e buttare la chiave”, a chi va al cinema per rilassarsi e non pensare.

12 paia di occhiali scuri. Sono tutti per lei?” “Neanche uno è per me”

Harry Brubaker, nuovo direttore del carcere di Wakenfield, si fa passare per prigioniero prima di assumere l’incarico. Scopre un posto dove le condizioni di vita dei detenuti sono così drammatiche che nemmeno un carcere italiano e gli addetti corrotti. Cambia le cose, viene fatto fuori per motivi politici, ma si conquista il rispetto e l’applauso finale (non solo metaforico) dei detenuti. Ispirato a una storia vera, Brubaker è un film ben fatto, robusto, indignato il giusto, appassionante il giusto. Buoni professionisti al servizio di un ottimo Redford e un Morgan Freeman che dovrà mangiare ancora tanti panini prima di diventare una star.

Da vedere abbracciati a Matteo Renzi, cercando di convincerlo che appoggiare l’amnistia lo farebbe diventare un figo come robertredford

Papillon steve mc queen dustin hoffman

Facciamo un patto: non molliamo mai, che non vorremmo mica darla vinta a questa manica di stronzi

“Papillon” (Papillon) di Franklin J. Schaffner, USA, 1973.
Con Steve McQueen, Dustin Hoffman, Victor Jory, Don Gordon, Anthony Zerbe

Genere: drammatico, carcerario, escape, film con Steve McQueen, film con Dustin Hoffman
Consigliato:
Sconsigliato:

“Maledetti bastardi … sono ancora vivo!!!”

Henri ‘Papillon’ Charriere (Steve McQueen) è stato condannato all’ergastolo per un omicidio che non ha commesso.  E così viene esiliato ed internato in un carcere nella Guayana Francese, nella sperduta Isola del Diavolo. La voglia di libertà di Papillon non si sopirà mai, nonostante le tante botte prese, le sbarre della gabbie, l’isolamento dal resto mondo e gli anni che passano in un inferno che non lascia scampo.
Quando Vasco Rossi ha scritto “…voglio una vita come Steve McQueen” probabilmente non aveva mai visto Papillon invecchiare incatenato e perseguitato nella paradisiaca Isola del Diavolo. O forse sì, perché lo spirito di una vita come Steve McQueen è proprio quello di Papillon: una vita avventurosa, alla continua ricerca della libertà, senza compromessi, senza abbassare gli occhi, costi quel che costi nonostante le sbarre e le catene. Ma se tu sei uno Steve McQueen gliela giuri e non molli mai tanto sai che prima o poi ce la farai e se non ce la farai è lo stesso, perché l’importante è averci provato.

Quando pensate di non potercela più fare, guardate questo film, poi ci provate di nuovo. Non ce la farete lo stesso, ma ne sarà valsa la pena

“Mery per sempre” di Marco Risi, Italia, 1988.
mary per sempre

La galera è un posto infame, infatti bisognerebbe chiuderci tutti i parrucchieri degli anni Ottanta

Con Michele Placido, Claudio Amendola, Francesco Benigno, Alessandra Di Sanzo, Tony Sperandeo

Genere: drammatico, carcere, lgbt, insegnanti in trincea, giovani arrabbiati.
Consigliato: amanti dei film sulla mafia e le sue conseguenze nella vita quotidiana, siciliofili (sempre che si dica), fan di Claudio Amendola giovane, fan di Michele Placido (sempre che ce ne siano).
Sconsigliato: intolleranti ai dialetti, leghisti, omofobi, .

“Io sugno cattivo, professore, sugno malacarne. Io ce nasciva cu sta rabbia tinta, nun c’è niente i fare.”

Dal romanzo omonimo di Aurelio Grimaldi (sceneggiatore del film con Rulli e Petraglia), Marco Risi trae un film crudo, scarno – anche grazie all’impiego di molti attori non professionisti e alla scelta di fare prevalere nei dialoghi il siciliano – sul carcere minorile. Mette in scena un luogo in cui giovani vite si scontrano corpo a corpo con il potere intransigente, sordo, insensato e triste; un luogo nel cui orizzonte non solo non appare pensabile alcuna trasformazione positiva, ma anche le relazioni personali costruttive appaiono impossibili. In questo luogo sceglie di insegnare un il professore Michele Placido: fabbricherà dolorosamente e con fatica rapporti sinceri e fiduciosi, lasciandosi scoprire dai ragazzi, mostrando loro l’inattesa umanità di un rappresentante delle istituzioni.

Da vedere scarabocchiandosi la faccia con un pennarello nero.

“Le ali della libertà” (The Shawshank Redemption) di Frank Darabont, Stati Uniti, 1994.
le ali della libertà

In carcere è tutto uno schifo, ma si ha tutto il tempo per stringere amicizie profonde

Con Tim Robbins, Morgan Freeman, Bob Gunton, William Sadler

Genere: drammatico, errore giudiziario, fuga, buoni contro cattivi.
Consigliato a geologi, garantisti e bancari.
Sconsigliato a claustrofobici, bibliotecari e garantisti.

“La prima notte è la più dura. Su questo non c’è dubbio. Ti fanno restare nudo, come il giorno in cui sei nato, con la pelle bruciata e mezzo accecato da quella merda anti-pidocchi che ti sparano addosso. E quando ti mettono nella tua cella, e senti sbattere il cancello, allora capisci che è tutto vero. L’intera vita spazzata via in quel preciso istante. Non ti resta più niente, solo una serie interminabile di giorni per pensare.”

Il carcere è un incubo, comunque; ma finire in carcere da innocente è l’Incubo degli Incubi. Il bancario Andy Dufresne (Tim Robbins) ci finisce, nel Maine del secondo dopoguerra, condannato innocente a due ergastoli per avere ucciso la propria moglie e il suo amante. Dovrà finire la propria vita a Shawshank, un carcere più orribile dell’orribile, dove le guardie brutalizzano i detenuti e la vita davvero non vale più niente. Siccome però, l’arte messa da parte prima o poi torna utile, l’esperienza bancaria e contabile lo aiuta (l’avreste mai detto? la contabilità? voi che fate i corsi di arrampicata, pentitevi! a salvarvi la vita sarà la partita doppia, non l’abilità nel reggervi su uno spuntone roccioso). Ad aiutarlo davvero, però, sono gli amici, specialmente Ellis “Red” Redding (Morgan Freeman), e soprattutto la sua capacità di non perdere la speranza. Per conservarla, bastano un martello da roccia, il poster di una stragnocca sul muro e il sogno di una vecchia barca da risistemare su una spiaggia messicana. Tratto dal racconto di Stephen King “Rita Hayworth and the Shawshank Redemption”, un film molto generoso che trasmette pienamente la sensazione della costrizione in carcere e del crudele, lentissimo scorrere del suo tempo.

Da vedere appena emersi da una fogna.

shutter island

Ma te ne accorgi che sei tu ad essere in gabbia?

Shutter Island, di Martin Scorsese, USA, 2010
Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer e Max von Sydow

Genere: thriller psicologico, drammatico, film con Leonardo Di Caprio, film di Martin Scorsese.
Consigliato a chi piacciono i pipponi mentali, a chi stravede per Di Caprio, a chi piacciono le atmosfere cupe.
Sconsigliato a chi è bravo a capire gli inghippi, a chi non si accontenta del fumo.

Lo sapeva che la parola trauma viene dal greco, vuol dire ferita. E qual è la parola tedesca per sogno? Traum”

Siamo nel 1954 e all’ospedale per criminali malati di mente di Ashecliff Hospital, su Shutter Island, arrivano gli agenti dell’FBI Daniels (Di Caprio) e Aule (Mark Ruffalo) per indagare sulla misteriosa sparizione di una paziente rinchiusa in una stanza blindata. Scorsese fa un film cupo, dove gli interni dell’ospedale rimandano alle segrete delle menti squilibrate e la gattabuia è in primo luogo una gabbia mentale. Bellissime inquadrature, grande cast, ma il film si risolve in un arzigogolato e concettuoso psico-thriller. E se si è bravi a capire il meccanismo, a metà film si è già capito tutto e manca ancora più di un’ora alla fine del pippone.

Da vedere con una scorta di Red Bull a portata di mano

Liberiamo questi magnifici film dalla gabbia

Bisogna ammettere che se sei figo, sei figo anche in galera (ma se non lo sei peggiori)

Fratello dove sei? Di Joel ed Ethan Cohen, USA, 2000
Con Con George Clooney, John Turturro, Tim Blake Nelson, John Goodman, Holly Hunter.

Genere: commedia, film con George Clooney, film dei fratelli Cohen.
Consigliato a chi ama i film sull’America della Depressione, a chi va in brodo di giuggiole per Clooney, a chi piace il cinema logorroico
Sconsigliato ai fan dei Cohen, a chi non è interessato .

Ma guarda: questo paese è una bizzarria geografica! È a due settimane da tutto!”

Tre galeotti appena evasi dai lavori forzati, uno dei quali è un loquace e incantatore falso avvocato (Clooney), si lanciano alla ricerca di un milione di dollari, frutto della rapina ad un furgone blindato, e nascosti nei pressi di una diga. Attraversano l’America della Grande Depressione, incrociando più volte la campagna elettorale per il Governatore del Mississippi, imbarcando un grande chitarrista, riuscendo a fuggire dalle grinfie del Ku Klux Klan (uno strepitoso John Goodman) e finendo graziati dallo stesso Governatore. Il film ripercorre la trama della Odissea di Omero, cita a man bassa, ma stordisce un po’, incentrato come è su un Clooney completamente a ruota libera (auguri!), che nemmeno il contrappunto di un invelenito Turturro riesce a contenere. E alla fine, si resta con un dubbio: ma ‘sta volta i Cohen, cosa cacchio avranno voluto dirci?

Da vedere con accompagnamento di chitarra e banjo

“Diciassette anni” (Guo nian hui jia) di Zhang Yuan, Italia-Cina, 1999
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La prigione toglie il sorriso. Anche quando si torna a casa

Con Lin Liu, Bingbing Li, Yeding Li, Song Liang, Yun Li, Su Wang

Genere: drammatico, carcere, gesto fatale.
Consigliato: fratellastri, sinologi, guardie carcerarie, amanti del ritorno a casa per le feste.
Sconsigliato: allegroni, adulti con figli acquisiti, odiatori delle feste, giornalisti tv di cronaca nera che si presentano ai parenti delle vittime, schiaffano loro il microfono in faccia e chiedono con voce impostata “pensa che perdonerà?”

“Un, due, tre, quattro! Riconoscere i propri crimini! Cominciare una nuova vita!”
“Che cosa hai imparato in prigione? Che ripetevi tutti i giorni? Che ha detto il direttore del carcere? Confidate nella sostanziale onestà del genere umano. Ma prima devi avere fiducia in te. Il mondo ti accoglierà, se sarai determinata a iniziare una nuova vita.”

A Tianjin, nella Cina nordorientale, diciassette anni dopo essere stata condannata, e uno prima che la sua pena termini, Tao Lan (Lin Liu) esce dal carcere con un permesso premio di tre giorni, per il Capodanno. Carcere con forte impronta militare, dove ha trascorso gli anni a lavorare, pentirsi e migliorarsi, marciare e ripetere regole di comportamento imparate a memoria. Fuori ad aspettarla, però, non c’è nessuno: diciassette anni prima, Tao Lan ha ammazzato la sua sorellastra, figlia del patrigno. Alla ricerca di madre e patrigno, in una città di gente che si accalca sugli autobus per rincasare a festeggiare l’anno nuovo, l’accompagnerà una sua sorvegliante, Chen Jie (Bingbing Li), incontrata per caso, una militare convinta del suo ruolo e del sistema, sicura che poiché con Tao Lan il carcere è riuscito nel progetto di correggere, ma anche gettare nuova fondamenta di personalità, anche la famiglia dovrà fare il suo dovere, accoglierla e sostenerla. Alla sicurezza di Chen Jie si oppone la fragilità di Tao Lan, la sua paura della famiglia e della gente, la sua abitudine a evitare le scelte e circoscrivere la propria vita nell’obbedienza agli ordini. Con profonda delicatezza, “Diciassette anni” descrive le gabbie della colpa e del dolore, dentro e fuori dal carcere, e dopo il carcere, insieme alla ciclopica fatica del perdono, di un nuovo inizio.

Da vedere tra compagni, mangiando ravioli

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Davanti a ogni gallo che corre c’è sempre una gallina in fuga. E viceversa

Galline in fuga, di Peter Lord e Nick Park, GB, 2000

Genere: animazione.
Consigliato a chi ha capito che i film più divertenti ormai sono quelli di animazione
Sconsigliato ai noiosi di ogni età.

Sapete qual è il problema? I recinti non sono intorno alla fattoria, sono qui, nella vostra testa!”

In un allevamento in batteria di polli, un gruppo di galline sotto la direzione della carismatica Ginger (Gaia nella versione italiana) cerca insistentemente la maniera per evadere. Quando il tempo sembra ormai scaduto e la fuga diventa improrogabile, l’acida proprietaria ed il marito ottuso hanno deciso di riconvertire le galline da uova in galline da carne, dal cielo arriva la speranza: sotto la forma un gallo americano (Rocky Balboa) sparato dal cannone di un circo delle vicinanze che fa credere a tutte di sapere volere e di sapere come insegnarglielo. Per molti è l’iniziatore del nuovo modo di fare cartoon, pensati più per i grandi che per i piccoli. Per la prima volta, la trama è infarcita di citazioni (lo Steve McQuinn della Grande fuga, Indiana Jones) e l’ironia regna sovrana. Senza Chicken run probabilmente non avremmo mai avuto Toy Stories, Cars, né KungFu Panda.

Da vedere strafogandosi di pasticcio di pollo

 

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