Magazine Diario personale

Liberta'

Da Emmagiulia

110151334-e0c6f9bc-e33c-4c3c-8ecd-b9147ef82a72.jpgDiciamolo, è difficile in questi tempi esprimere liberamente le proprie idee.

Mi chiedo ad es. sul caso "Pussy Riot", se da noi in Vaticano un bel trio musicale fosse entrato inneggiando contro Monti o Napolitano, forse avrebbero chiamato la polizia locale per un bel ricovero in qualche reparto psichiatrico? Oppure avrebbero dato due anni di galera come alle tre ragazze russe? E d'altra parte non saprei nemmeno dire cos'è la cosa migliore.

Qui si esige un competente giudizio giuridico.

A proposito di libertà oggi mi limito a dire che c'è anche il FOIA.

E' qualcosa da mangiare, simile al foie gras? Oui, please, freedom!

 

Continuo dunque con il mio racconto.

Il riassunto della puntata precedente:

In un ufficio ministeriale compare uno strano aggeggio. Niente paura, si tratta di una radio, danneggiata, perché trasmette - ahimé - sempre sulla stessa frequenza.

Siamo negli anni '50 e in quell'ufficio ci lavora Maria. La donna, dopo aver ascoltato la musica della radio, esce dall'ufficio con buoni propositi. Vorrebbe cambiar vita e trovarsi un amore ma il destino si accanisce contro di lei. Proprio in quel momento un bambino sfugge alla madre e attraversa la strada senza accorgersi che una macchina sta arrivando. Maria vede tutto ed eroicamente si lancia sulla strada e salva il bambino. La macchina però la investe e Maria muore tragicamente. 

 

RADIO X 

 

Di quest’episodio, della signora Maria che si era gettata in mezzo alla strada per salvare quell’irresponsabile bambino, nessuno parlò più, fatta eccezione quel breve trafiletto sul giornale che riportava il titolo commovente dell’onorificenza che veniva consegnata in memoria alla devota segretaria del ministero.

Naturalmente si evitò di disquisire sulle ultime parole della poveretta.

Il signore che le si era accovacciato accanto giurò di non aver capito bene. Non rivelò mai a nessuno che gli era sembrato di udire tra le sue labbra proprio quella canzoncina che la bravissima Rita Hayworth interpreta con stile e sensualità. Che poi lui, l’inglese, manco lo sapeva.

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Passarono gli anni, arrivarono anni caldi, i mitici anni ‘70.

C’era nell’atmosfera uno strano fermento. Dagli altri paesi arrivava una ventata d’aria nuova e musica nuova: Beatles e rock, hippie, la comune, movimenti femminili, battaglie per diritti civili, conquiste per un popolo affamato di speranza nel futuro.

Statuto dei lavoratori, diritto di famiglia, scuola: tutto veniva rivisto in nome della democrazia. Si cercava di dare un’accelerazione a quella bellezza di Costituzione Italiana, scaturita dalle menti desiderose di libertà e piene dell’orgoglio di avere i propri figli da svezzare e far crescere adulti, dopo essere scampati alle brutture della guerra.

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Anche nell’ufficio del ministero le persone si erano susseguite. Il portiere era lo stesso e Mauro, il nuovo impiegato amministrativo, vi era entrato la prima volta nel ’68. Non sapeva chi ci fosse stato prima di lui. Era dura lavorare per ore da solo. Era ancora giovane, avvocato non ancora trentenne, e aveva accettato quel posto dopo un concorso ministeriale. Un trampolino di lancio per il futuro in qualche ufficio legale del ministero.

Inizialmente sembrava tutto tranquillo, le solite occupazioni tediose da sistemare, le delibere ministeriali da far firmare.

Erano anni difficili, sulle strade cominciavano i primi segnali di manifestazioni di lotta. Era arrivato il vento del movimento studentesco e lui non c’aveva capito nulla.

Nel ’62 c’era stato un rinnovamento della scuola media che aveva unificato tutte le scuole medie e eliminato l’avviamento, e di fatto tutti potevano accedere in maniera pressoché gratuita se non in relazione al tempo sottratto al lavoro. Perché a quel tempo anche le braccia dei fanciulli venivano considerate fondamentali per sostenere una famiglia.

Mauro lo sapeva bene perché aveva una mamma cuoca e il padre lavorava come muratore.

Era riuscito, grazie alla volontà materna, a studiare al liceo classico.

La povera donna, a servizio di una facoltosa famiglia a Roma, le cui menti liberali e democratiche inneggiavano all’importanza dell’istruzione, aveva fatto studiare Mauro privatamente da un professore di latino, per permettergli la possibilità di superare l’esame per accedere al liceo. Suo figlio non sarebbe mai stato umiliato come lei, alla faccia della loro benevolenza da quattro soldi.

La loro carità si fermava a qualche soldo in più durante le festività ma la facevano sgobbare e sputare sangue durante i ricevimenti che davano nella loro villa.

Prendeva i soldi e ci sputava addosso a quei falsi borghesi.

I loro figli indolenti! Quel po’ di intelligenza che albergava nei genitori, spariva nei loro stupidi figli, ammorbati da quella vita di spreco e di lusso. Sarebbero sicuramente diventati persone importanti, perché era il loro destino, ma l’ignoranza, reale e tangibile, albergava in loro alla massima potenza e avrebbero senz’altro portato alla rovina il mondo che di lì a poco avrebbero governato nelle professioni e nelle loro scelte politiche.

Mauro ricordava bene gli sberleffi dei compagni di scuola, il sentimento di repulsione di alcuni professori che lo guardavano come fosse stato un intruso. E i bocconi amari che aveva dovuto ingoiare. Ma lui resisteva, resisteva a tutto per amore di sua madre, per lei che tornava a casa stanca, che lo guardava con grandi occhi liquidi e gli chiedeva se tutto andava bene. “Sì, mamma, va tutto bene e i professori sono molto contenti di me.” Non rivelava gli scherni di cui era oggetto, della noncuranza con cui gli altri lo ignoravano, invisibile a tutti. Fortunatamente possedeva una mente agile, sveglio in tutto e un corpo forte e atletico e gli era facile primeggiare in tutti gli sport e in palestra, così era benvoluto soprattutto dalle ragazze che lo adocchiavano fuori dalla scuola, costituendo così per lui motivo di vanto: una al giorno, per non causarsi stress da rapporto amoroso.

Ora erano quegli stessi studentelli borghesi a protestare per una scuola più giusta?

Più giusta per chi?, si chiedeva Mauro. Per le loro menti bacate bastava proclamare un diciotto politico per declamare libertà. Sapeva che erano invece persone come gli operai e i figli della grande massa lavoratrice a dover segnare il passo e la strada per la reale democrazia, la cui Costituzione aveva delineato le tappe fondamentali. Non la borghesia, non quattro professori, non quegli studenti esaltati ma chi lavorava e sapeva cosa significava sudare e fare sacrifici per studiare, ecco chi lo Stato avrebbe dovuto ascoltare! E invece aveva sentito dei primi agganci del mondo operaio con il movimento studentesco. Roba da far rizzare i capelli! Come gli operai potevano arrendersi alla vera lotta per passarla nelle mani di retorici dell’università, in mano a borghesia corrotta? Dietro quegli studenti sapeva che c’erano professori che attraverso le lotte operaie volevano fare proclami filosofici per la loro vanità intellettuale, se ne avevano un poco.

Conosceva bene quell’ambiente; ne era appena uscito.

Aveva scelto Giurisprudenza. Dopo l’esame di stato aveva provato quel concorso ed eccolo lì, in quell’ufficio quattro per quattro, con la voglia di fare carriera e di dimostrare il proprio valore.

Certo che in mezzo a quelle scartoffie ben poco c’era da dimostrare!

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Stava così spergiurando quando si accorse di quel vecchio affare sopra lo schedario. Erano passati due mesi dall’assunzione, perciò conosceva bene quello stanzone anonimo, eppure vide quell’aggeggio quel giorno. Chissà perché non l’aveva ancora notato. Se ne stava lì, con una lieve indolenza e ammantato da una sottile patina di polvere.

Incuriosito si avvicinò e con la mano sollevò quello strato dimenticato che velava il mogano e le manopole. Schiacciò il primo tasto sulla destra e un suono melodioso cominciò ad arieggiare la stanza.

Provò a girare la manopola ma ruotava a vuoto e la frequenza non cambiava.

Forse è rotta, pensò Mauro, altrimenti non sarebbe qui abbandonata.

Chiuse la radio, riproponendosi di controllarla meglio il giorno seguente. Ormai, infatti, era tardi e aveva terminato il lavoro. Ripose le varie carte, sistemò l’ufficio e uscì.

Le cose capitano proprio per caso.

In quello stesso momento percorreva di corsa, trafelato, un uomo stempiato di circa trent’anni, il lungo corridoio ministeriale.

Questi si scontrò con forza contro Mauro, tranquillamente diretto verso il portone d’uscita.

“Mi scusi”, s’affrettò a rispondere l’uomo per farsi perdonare dell’irruenza e della sbadataggine.

Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi un po’ seccati di Mauro: nello scontro aveva perso la borsa e si stava chinando per raccoglierla.

“Lei qui?”, fece sorpreso quel tipo.

Mauro lo guardò sconcertato, non gli pareva di avere mai visto quella persona.

Tirò fuori la sua prontezza di riflessi.

“Buona sera, avvocato Mauro Rossi” e porse la mano verso lo sconosciuto signore.

Questi strabuzzò gli occhi.

“Ah, l’avevo scambiata per un’altra persona, mi scusi, mi scusi!”, rispose sorridendo quasi tra sé e battendosi la mano sulla testa. E poi riprese: “Dottor Stefano Dalla Francesca, lavoro qui al ministero, per un momento mi sembrava un altro, gli assomiglia in maniera incredibile, davvero!”

Il tipo sembrava aver ripreso in mano la situazione e dava segni di fretta.

“Oh, cose che capitano! Comunque piacere di averla conosciuta”, Mauro si accomiatò.

“Piacere, davvero piacere! E mi scusi per la fretta!”.

Quello gli sorrise e se ne andò via di corsa, sorridendo da solo, così sembrò a Mauro.

Se solo Mauro avesse saputo che quel tipo era il portaborse di un importante ministro!

Il dott. Stefano Dalla Francesca, infatti, si stava dirigendo in tutta segretezza per una missione importante, qualcosa che sicuramente avrebbe potuto compromettere la democrazia: con sé recava una lettera destinata a un personaggio illustre e autorevole, il Presidente della Repubblica!

(CONTINUA)

 

P.S. le foto sono tratte dal web e non hanno alcuna attinenza con il racconto, frutto della mia fantasia.

 


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