Facciamo finta che queste considerazioni (pesanti, avverto) mi siano state ispirate dalle mie incursioni in Veneto di quest’ultima settimana. Sono stata a Vicenza, e a Padova. Le città venete sono stupende, da un po’ di anni sono affascinata da Padova, con quel suo centro enorme e romantico, i portici, i ciottolati, i terrazzini, la realtà parallela della vita universitaria. Questa volta la città ribolliva di lauree -non c’è qualcosa di sadistico e perverso, uno sfogo di istinti di dominazione e tortura, nella goliardia delle lauree? “Io ti farò bere finché non starai male! Io ti umilierò, ti insozzerò, ti spoglierò, ti schiaffeggerò la schiena fino a lasciarti i segni! Io renderò pubbliche le storie più imbarazzanti del tuo passato! E tu ti divertirai, e riderai di tutto questo!”
Comunque, dicevo, il Veneto ha città stupende, e colli, e montagne, ma nel complesso è un orrore, uno scempio, una desolazione di casette, campagne smembrate e cemento. E’ passato dall’incantare i visitatori europei, a schifarli.
In Veneto è praticamente certa la vittoria di Luca Zaia, attuale ministro delle Politiche Agricole, uomo che mi pare sia considerato colto e competente (segnalo quest’interessante botta e risposta su Il manifesto, a proposito del “triste nordest”: 1-2-3). Luca Zaia è un esponente più presentabile di altri di un partito in costante ascesa, che si colloca dal lato sbagliato di domande molto interessanti, che mi pressano in particolar modo ultimamente. Innanzitutto: a chi appartiene un territorio? A chi ci vive, a chi ci è nato, a chi lo valorizza meglio e apprezza di più, o all’umanità intera? E poi: che rapporti ci legano agli spazi geografici? dove stanno i confini del “mio” e del “nostro”?
La sinistra, di solito, si schiera con le popolazioni indigene sfruttate e oppresse, questo è abbastanza ovvio. La Lega tenta di spacciare i padani per popolo oppresso, ma non ci crede nessuno. Per la sinistra, generalizzando, un popolo può bloccare una multinazionale, o una base militare straniera (vedi Dal Molin) ma non un barcone di poveracci, e va bene, ci mancherebbe. Ma se i poveracci sono milioni, o non sono poi così morti di fame, un popolo ha sempre e comunque l’obbligo di fare posto? e se il barcone porta turisti?
Cosa c’entrano i turisti? Bè, se uno parla di regolare i flussi di persone, la durata di permanenza ha rilevanza pratica, ma non filosofica. Venezia, per restare in tema, non cela fa più, e pensa di mettere un limite al numero di turisti che possono entrare. Un articolo nel penultimo, eccezionale numero di Internazionale, discute proprio dei problemi legati al turismo. Il turismo di massa sta danneggiando, spiega, l’isola di Pasqua, le Galapagos, il mar Rosso, le piramidi egizie le cui pitture stanno sparendo… Paradossalmente, uno andando a vedere certe meraviglie, come mari ancora incontaminati o antiche opere d’arte, contribuisce alla loro distruzione. E un eccesso di turismo rende le località delle puttane, sottraendole ai residenti, impedendo di vivere i posti in maniera spontanea e genuina, aumentando i prezzi, e dandole in pasto a masse affamate di stereotipi e finzioni. Vedere quello squallido cliché che è diventata Firenze. Allora, gli abitanti possono democraticamente mettere un limite a chi viene come turista, a chi si ferma poco? e possono mettere un limite a chi si ferma molto? e a chi compra le seconde case, altra bella fabbrica di sfregi? si può dire: no?
E a proposito della durata della fermata, mi viene in mente l’intervento ad Annozero di alcuni ragazzi milanesi di origini africane, amici del ragazzo ucciso per una scatola di biscotti, mi pare. Questi erano molto arrabbiati per come sono trattati gli immigrati in Italia, ovviamente, e dicevano: se voi venite da noi, non vi trattiamo così! Vi trattiamo benissimo, come si trattano gli ospiti. Questa è una metafora interessante, perché l’idea di ospitalità presuppone una permanenza breve ed un invito, anche se non sempre, anzi è immorale rifiutare l’ospitalità ad una persona che non sa dove andare. Qui poi ci vorrebbe un’altra cosa, una digressione sul diritto di asilo, altro caso ancora. Ma qui è fin troppo facile: chi è realmente perseguitato, non lo puoi mandare via. Ma gli altri?
Sto volutamente facendo una serie di accostamenti insoliti per guardare all’immigrazione sotto un profilo non tanto economico (sostengono l’economia / fanno concorrenza sleale), o culturale (buono il kebab/ non vogliamo moschee), che sono quelli che vanno per la maggiore in Italia, ma presentando la questione dal punto di vista della gestione degli spazi e delle risorse. Lo dico sempre e lo ripeto: la sinistra non sa dare risposte. La Chiesa si schiera con gli immigrati, ma su basi caritatevoliste e cresceteemoltiplicatevi-iste che non mi piacciono per niente. La Lega dà risposte che sappiamo quali sono – l’ultima in Friuli VG, la chiusura degli ambulatori per gli stranieri (e le persone) che per qualche motivo non si trovano in regola con i documenti, è qualcosa di ripugnante e pure controproducente.
Però io delle risposte le vorrei, anche perché qui la Lega avanza, soluzioni non se ne trovano, e l’accusa di razzismo con tanto di manifestazioni antirazziste mi sembrano più che mai insufficenti, nonché buone solo per nascondere, come a Rosarno, situazioni infinitamente più complesse (‘ndrangheta, mancanza di lavoro, contributi europei, corruzione, squilibri nell’economia mondiale, ignoranza, sfruttamento…) Allora: quante persone possono venire in Italia? quanto possono stare? come possono vivere? e soprattutto: chi lo decide? di chi è, l’Italia?