La terza edizione di Libri come ha ospitato 39 mila visitatori, cinquemila in più rispetto allo scorso anno. Ad attirare tanto pubblico, secondo la Repubblica, è stata la vasta scelta di ospiti italiani e stranieri, forse anche la concentrazione dell’intero festival in un unico weekend, rispetto ai nove giorni dell’anno scorso, ha portato a una minore dispersione. In ogni caso far leva sugli scrittori invitati è stata una giusta intuizione – dal grande Jonathan Coe all’attesissima Jennifer Egan, fino all’incontro fuori programma con Roberto Saviano, già ospite di Libri come nel 2010, che ha chiuso la manifestazione la sera del 13 marzo ricordando l’importanza dell’insegnamento di fronte a una platea gremita di ragazzi.
Molto interessante il dialogo tra Sandro Veronesi e Jennifer Egan. La scrittrice, definita da Veronesi “una maestra nel trattare il tempo”, svela che proprio la problematica gestione del tempo l’abbia portata sull’orlo di lasciar perdere tutto, illustra le tre regole che si era autoimposta durante la stesura de Il tempo è un bastardo e insiste sulla costruzione del suo romanzo come di un concept album. In questa intervista di Francesca Borrelli sul manifesto Egan si sofferma sulla musica come aspetto centrale della sua vita e sulle sue influenze letterarie, da Dickens a DeLillo, mescolando le influenze di Proust a quelle dei Soprano. Qui la registrazione dell’incontro tra Jennifer Egan e Paola Zanuttini a Libri Come, che naturalmente ha fatto il tutto esaurito.
Ma non solo sugli “scrittori superstar” si è concentrata l’edizione di quest’anno: Claudia Rocco sul Messaggeroriporta una dichiarazione di Sinibaldi molto interessante a proposito, puntualizzando poi come sia valsa la pena rischiare una sala vuota per stimolare la curiosità del pubblico.
«Quest’anno […] le statistiche Aie hanno parlato di 730.000 lettori forti in meno. Bisognava inventare qualcosa per attirare le persone, proponendo sì i nomi noti, ma anche stimolando la curiosità con autori poco conosciuti, come lo svedese Gellert Tamas, rischiando una sala anche meno piena.»
Rischio scongiurato perché il giovane autore svedese è stato seguito con grande interesse e attenzione nel Teatro Studio mentre, intervistato da Goffredo Fofi, spiegava la genesi del suo libro L’uomo laser (Iperborea): un romanzo-inchiesta che attraverso la storia reale di un killer, John Ausonius, racconta l’onda xenofoba che si sta diffondendo nella società occidentale.
Rocco segnala anche le presentazioni di Il signore del sorriso di Anna Vinci (Iperborea), Chiedimi l’amicizia di Mauro Evangelisti (Carta Canta) e Libertà vigilata di Stefania Rabbuffetti (Manni).
Un altro ospite interessante della rassegna è stato Ron Leshem, autore israeliano che in Underground bazar racconta la vita notturna a Teheran – città dove non potrebbe nemmeno entrare e che ha ricostruito in modo decisamente atipico:
«A volte, a notte fonda, quando cerco di scrivere e non mi riesce, chiedo sul web l’amicizia a qualcuno che non ha nessuna ragione di essermi amico» spiega Leshem. «Quando mi rivolgo ai palestinesi, la metà di loro la rifiuta; e il 100% degli egiziani dice di no; ma una notte ho fatto un esperimento e ho spedito un centinaio di domande a dei ragazzi iraniani (per vedere quanto e se mi detestavano davvero… controllare tutto il tempo se la gente ti odi è una caratteristica israeliana)», racconta. Bene, la mattina seguente tutti quei cittadini della repubblica islamica avevano accettato e gli avevano spedito messaggi, storie, domande, clip. Un mese dopo era ancora lì a chattare soprattutto con tre studenti e una ragazza, una pilota di Teheran, «ero scioccato dei pregiudizi sbagliati che avevamo gli uni sugli altri, ero affascinato dalla vita underground che mi raccontavano. Dopo due anni di mail su falsi indirizzi web – il mio era in Arabia Saudita –, non ne potevamo più, volevamo vederci in carne e ossa: pericolosamente ci siamo incontrati per una settimana in una città europea». È nato il romanzo: «di fatto l’ho scritto con due di loro. E che non ci fosse permesso essere amici, rendeva la cosa ancora più appassionata e romantica. Non sapevo abbastanza bene il da farsi, comunicavamo in inglese. Mi hanno dato moltissime idee, descrizioni di momenti che avrebbero voluto veder scritti, pareri su come svolgere il plot. Hanno scelto loro i nomi dei protagonisti. Erano orgogliosi che qualcuno ascoltasse le loro storie, che altri ancora le avrebbero lette. Ogni tanto gli sottoponevo per mail dei paragrafi del libro. Firmare insieme? Non sarebbe stato possibile. Hanno molta paura. Una volta però, durante le rivolte dell’Onda Verde, uno di loro mi ha mandato un articolo chiedendomi di farlo pubblicare da qualche parte. È uscito sull’ Ha’aretz. Sotto falso nome naturalmente».
Tra le novità editoriali, una collana dedicata alla capitale: Remo, ovvero “l’altro modo di raccontare Roma”, è stata presentata domenica 11 marzo dall’editore Franco Lozzi, capo dell’omonimo gruppo specializzato in guide e mappe. Si vuole virare sul letterario senza perdere di vista la città eterna: ogni volume contiene una mappa dei luoghi dove si svolgono le vicende narrate. La collana diretta da Giulia Alberico propone classici e inediti:
«Oltre ai classici, come Goethe, Gogol e Stendhal e D’Annunzio, usciranno in futuro dei lavori inediti di Sergio Pent, Piero Sansonetti, Paolo Di Paolo, Adelia Battista e Carola Susani, tra i contemporanei».
Ha chiuso questa affollata edizione il filosofo Tzvetan Todorov, padre della definizione del Novecento come “secolo tragico”: a ricordare come un vero sguardo rivolto al futuro debba essere innanzitutto critico, per gettare solide basi culturali e civili. Il filosofo, poste queste condizioni, non è pessimista ma ricorda la necessità di trasformare tante voci in una, auspicando a una Primavera europea.
«Vedo persona mosse dall’amore – dice – dallo slancio a creare senso e bellezza. Non so come questi gesti possano modificare le cose, ma non posso credere che non abbiano delle conseguenze. Piuttosto che una rivoluzione politica o tecnologica, occorre una rivoluzione di mentalità, che consenta di ripensare il progetto democratico […] Ci vorrebbe una Primavera europea, che segua alla Primavera araba. È giunto il momento di ripensare il modello democratico».