Gianni Marilotti racconta fiaba moderna di genti che non mollano
C’è qualcosa di nuovo, nel Supramonte sardo. La brezza frizzante, da sempre impregnata di muschio e lavanda si pervade di nuove essenze. I cuiles, gli antichi ovili, inebriati d’incenso, zenzero e coriandolo, si ammantano dei colori sgargianti dell’Africa nera. Senegalesi e altri popoli migranti lavorano gomito a gomito con le genti autoctone per evitare lo spopolamento di questi angoli di paradiso. Piccole meraviglie di una Sardegna aspra e arcaica che, giorno dopo giorno, si svuotano di giovani e di vita.
Qui, nella Barbagia di Seulo, ai confini dell’Ogliastra, prende corpo il sogno multietnico di Peppe Tolu, piccolo commerciante al dettaglio, protagonista del nuovo romanzo di Gianni Marilotti, “Il Conte di Saracino”, edito da Arkadia. La nuova fatica letteraria dello scrittore cagliaritano, premio Calvino 2003 con “La quattordicesima commensale”, è una fiaba moderna affrescata sullo sfondo di un solido realismo sociale.
E’ la storia di un risveglio, di una presa di coscienza. L’uomo, di fronte alla crisi che non concede alternative, non si arrende e cerca nuove opportunità incuneandosi nel ventre della montagna per radicarsi indissolubilmente alla sua terra cercando di recuperare le antiche tradizioni e di ricavare il necessario per sostentarsi nel pieno rispetto dell’ambiente. Sembra un visionario, Peppe Tolu, deriso da tutti nel suo paese, Nuxenti, da dove fugge per poi scoprire che tanti altri la pensano come lui.
La sfida è lanciata: ridare nuova linfa al territorio, grazie anche agli immigrati, per evitare la desertificazione inarrestabile dei paesi abitati per lo più da anziani, con i giovani costretti a emigrare in cerca di lavoro e i migliori cervelli impiegati all’estero. Ma c’è un tesoro nascosto da portare alla luce, uno scrigno di risorse naturali, storiche archeologiche e umane, nascosto tra alture, pendii, rocce e corsi d’acqua nel rigoglioso scenario dell’entroterra sardo. Qui in vetta, nel regno di piante secolari, animali selvatici, mufloni, cinghiali e volpi, volteggiano nell’aria poiane, falchi e aquile reali, signori assoluti di quei cieli sublimi. Sarà l’incontro con Mangedda “sa bruxia”, la strega, donna affascinante dal passato terribile e misterioso tenuta ai margini della società per i suoi presunti poteri occulti, ad introdurre Peppe Tolu in un viaggio iniziatico alla scoperta di un mondo femminile dal sapore prodigioso in cui la natura si esprime in tutta la sua potenza medicamentosa per il corpo e per l’anima.
La montagna diventa così l’ingresso privilegiato per la comprensione dell’infinito e del divino. Il sogno si traduce allora in un invito propositivo, indicando strade “altre” per combattere contro politiche economiche sciatte e inadeguate ed evitare la fuga da quei luoghi antichi. La via d’uscita è nel ritorno alle origini e in una più produttiva integrazione con il fenomeno dell’immigrazione. La montagna, in cui si cela il Conte di Saracino e la leggenda del suo indecifrabile tesoro, costituisce lo spazio in cui la natura mette a disposizione dell’uomo i mezzi necessari al superamento dei propri limiti.
Strumenti con cui combattere contro il ribaltamento di valori morali atavici che stanno alla base del patto primigenio tra uomo e natura.