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Libri di psicologia: perchè attirano?

Creato il 09 gennaio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

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Nulla di nuovo, a dirla tutta: da Dostoevskij a Svevo abbiamo collezionato, goduto e resi nostri come pietre miliari i testi di maestri del romanzo psicologico.

Ci siamo immersi nelle esaltazioni del principe Miskin ne “L’idiota” o nell’elaborazione dei sensi di colpa di Raskolnikov in “Delitto e castigo”, fino a chiederci cosa avremmo fatto noi al loro posto, al termine del libro ma anche prima, a dire il vero, tanto ci siamo immedesimati. Anche “Madame Bovary” ha fatto da manuale se è per questo (da lì il termine “bovarismo” a indicare un languore perenne e all’apparenza irrisolvibile), per non parlare di Pirandello, oppure dello stesso “L’airone” di Giorgio Bassani.

E allora? Perché  parlarne, dove sta la novità? Quali sono le differenze, se mai ce ne sono?

Iniziamo col dire che oggi il modo di calare la psicologia all’interno di un contesto narrativo è profondamente diverso che in passato. Mentre Raskolnikov puntava a far sì che ci immedesimassimo nei dubbi che si insinuavano nella sua mente e lungo i tortuosi percorsi che portavano (o avrebbero dovuto portare almeno in teoria) alla soluzione di un problema interiore, i contemporanei guardano alla concretezza delle soluzioni, a mo’ di manuali di sopravvivenza, in cui trovare il bandolo della matassa e scoprire cosa non funziona  in noi e la maniera di porvi rimedio. Nulla da obiettare, se vogliamo, soprattutto se a scrivere sono terapeuti veri.

Ma il perché, beh, quello è un altro discorso.

Madame_Bovary_1857_(hi-res)

Infatti, non basterebbe scrivere un semplice manuale allo scopo? Perché  farlo in narrativa? E perché appunto ‘tira’ tanto l’argomento?

Bisogno.

Bisogno di certezze in  un’epoca in cui non ve ne sono più, dice qualcuno. Ma il cercare soluzioni, anziché limitarsi allo svago o alla pura ricerca per passione (come faceva Woody Allen, appassionatissimo di  psicanalisi) mi diceva una terapeuta pochi giorni fa, diventa a lungo andare deleterio e può avvicinarsi all’inutilmente ossessivo. Che la lettura non sia infatti solo svago siamo tutti d’accordo, credo: ma il cercare di apprendere dai libri ciò che solo con un’esperienza personale diretta si può interiorizzare e far fruttare, come la delicatissima psicanalisi, è altra cosa.

Poi, che altro? La ricerca di un modo per venir fuori da un qualcosa di quotidiano che non piace, l’evasione stessa, in un’epoca in cui tutto è permesso e nulla scontato, pare per contro avere dei paletti invalicabili, per poter passare i quali ci si rivolge a quella che per molti sembra essere l’unica vera terapia alla vita.



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