Libri: Norwegian wood

Creato il 02 marzo 2014 da Siboney2046 @siboney2046

«Ma non ho capito bene se poi l’analisi arrivi a semplificare il mondo o solo a scomporlo in parti piccolissime»

Della serie “meglio tardi che mai” anch’io ho finalmente intrapreso la lettura di un libro di Haruki Murakami (o seguendo l’usanza giapponese di scrivere prima il cognome e poi il nome, Murakami Haruki). Vista la massiccia produzione letteraria dello scrittore di Kyoto ammetto di avere avuto una certa difficoltà a scegliere da dove iniziare ed alla fine ho optato per il nome che ricorreva più spesso sulla bocca dei suoi appassionati fan: è per questo semplice e frivolo motivo che oggi leggerete la mia recensione di Norwegian wood.

La prima volta che sentii nominare Murakami fu nell’ormai lontano 2006, quando la mia cara amica Carlotta mi citò proprio questo libro. Questo autore e questo libro mi erano del tutto sconosciuti eppure il tono appassionato con cui lei me ne parlava mi suggeriva si trattasse di qualcosa di interessante. Poi, chissà perché, è finito nel dimenticatoio! Approcciandomi alla blogosfera ho scoperto che Murakami è uno scrittore molto apprezzato, se non adorato, ed ho pensato che fosse arrivato il momento del nostro rendez-vous.
Ho osservato che l’aggettivo con cui più spesso viene descritto è ‘strano’: «è uno scrittore ‘strano’», «le sue storie sono ‘strane’», «adoro i suoi libri anche se certe volte sono un po’ troppo ‘strani’». Inutile cercare di spiegarvi la mia perplessità davanti una tale definizione così ho capito che l’unico modo per comprendere questa stranezza era leggere qualcosa.

Il Norwegian wood del titolo è una canzone dei Beatles che in pochi versi racchiude lo stesso malinconico senso di abbandono che permea tutto il romanzo: «I once had a girl/or should I say she once had me». Norwegian wood è la canzone preferita di Naoko, una fragile ed eterea ragazza sui vent’anni di cui Watanabe, il protagonista è innamorato. I due sono legati da un passato doloroso di cui non hanno mai parlato e cha ha inciso pesantemente sulla loro educazione sentimentale chiudendoli alla felicità ed alla speranza. Ma mentre Naoko si abbandona alla sua fragilità e viene risucchiata da quell’ingombrante passato, Watanabe riesce a fuggirne, sebbene per un pelo, grazie all’incontro con altri personaggi non meno problematici, da ‘Sturmtruppen’ a Nagasawa, da Hatsumi a Midori e Reiko. Tutti i personaggi le cui storie si intrecciano delicatamente e senza sforzo, come un semplice capriccio del destino, sono segnati da qualcosa di profondamente tragico che affrontano in maniera diversa conformemente al loro carattere. Saranno Reiko e Midori a salvare definitivamente Watanabe dalla fine che pende come una condanna su tutti coloro che sono consapevoli delle loro alterazioni e per cui sono ghettizzati ai margini del ‘mondo esterno’.

Confesso che anche ora che ho terminato di leggere questo romanzo mi sto interrogando su cosa significasse quella stranezza di cui molti avevano parlato. Io non trovo nulla di strano in questa storia, in questo stile, in questo modo di raccontare. La vicenda può sembrare ai limiti della realtà per i molti risvolti drammatici, ma a pensarci bene, cos’altro è la vita se non una serie di eventi drammatici a cui prendiamo parte, ciascuno a proprio modo? C’è chi ha la forza di andare avanti e chi si abbandona. Naoko abbandona, Watanabe va avanti. A dire il vero a me sembra tutto estremamente reale, dall’approccio carnale dedicato al continuo consumo di cibo, una costante lungo tutto il racconto (che mi ha ricordato molto alcune sequenze di La vita di Adele); alla descrizione del sesso, sempre presente ma personalmente mai invadente, del tutto naturale, come accade tra le persone in carne ed ossa; all’incontro con la follia, lento e pungente; fino all’incedere della morte, tragica eppure così paradossalmente normale nella vita di tutti i giorni.
Personalmente non mi sento di inserire Norwegian wood tra i miei romanzi preferiti di sempre, ma non posso negare che abbia un fascino disarmante, proprio dovuto alla sua semplicità ed al lirismo con cui sono descritte le situazioni più banali. Anche in questo caso non posso che apprezzare il messaggio di speranza che chiude la storia, come a ricordarci che le avversità nella vita non smettono mai e più passa il tempo e più sono devastanti, più vale la pena di andare avanti.

«A volte entra in quello stato. Crisi di eccitazione e di pianto. Ma va bene, sai, quando è così. Perché comunque tira fuori quello che sente. È quando non si riesce a tirarlo fuori che c’è da avere paura. Allora le emozioni si accumulano dentro il corpo e si induriscono. E quando molte emozioni si sono indurite muoiono dentro il nostro corpo. Quando questo succede, c’è poco da scherzare»

Avete mai letto Norwegian wood o qualche altro romanzo di Murakami? Cosa ne pensate?


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