Magazine Sport
Questa la presentazione dell'autore riportata sul volume: "Potrò fare qualsiasi professione ma sono e rimarrò un ex calciatore. Oggi faccio l’avvocato ma potrei fare il panettiere, l’astronomo o il venditore di giocattoli: mi sentirei pur sempre un ex calciatore. È una faccenda complicata, come tutte quelle che riguardano la profondità della coscienza. (...) Anche se ho frequentato solo campi di provincia, ben lontano da soldi, fama e veline. Anche se posso vantare solo tristi primati, come quello di essere l’unico calciatore della storia ad essersi fratturato il femore nel corso di una partita. Avevo appena diciassette anni e giocavo nei ragazzi della Juventus. Ho cominciato allora a scrivere questo libro, nel quale ho voluto celebrare lo sport, inteso come luogo dell’anima, come meraviglioso crogiolo nel cui fuoco eterno vive e si consuma in un istante, in una parossistica esaltazione, la gioia o il dolore".
Nato a Torino nel 1962, Teodoro Lorenzo è oggi avvocato: lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Come nasce la voglia di scrivere questo libro?
Dalla passione per la scrittura e dall’amore per lo sport, o forse solo per la nostalgia della gioventù.Non è il primo libro che scrivo: nel 1981 (avevo solo 19 anni) ho scritto Ritratto di un sogno – Favola moderna, pubblicato ad Alessandria dalla casa editrice Dell’Orso. Quanto all’amore per lo sport ho giocato al calcio per 18 anni (dai 10 ai 28 anni) e quelle emozioni, gli anni meravigliosi della mia adolescenza e della gioventù mi sono rimasti dentro. C’era solo un modo per riviverli, cioè ricordarli e raccontarli. Aveva ragione Pirandello: "La vita o la si vive o la si scrive".
Perché i racconti?
Una sfida e un espediente per rendere originale il mio lavoro. Di sport ne hanno trattato molti libri ma io volevo abbracciare diverse discipline sportive. Il libro consta infatti di 14 racconti, l’originalità sta appunto nell’aver inserito ogni racconto nella cornice di una diversa disciplina sportiva.
Nei suoi racconti non c'è solo lo sport, c'è sempre (o quasi) una vena drammatica che segue gli eventi: come mai questa scelta? Non ha voluto scrivere storie più 'solari'?
Lo sport diventa un pretesto per parlare di sentimenti ed emozioni.
Non poteva essere diversamente, lo sport come pura tecnica non mi interessava (avrei scritto un altro libro, non di narrativa ma di saggistica o di manualistica, ammesso che ne avessi la competenza). Credo anzi che lo sport sia l’ambiente ideale per far emergere immediatamente, senza le ipocrisie della vita civile, il carattere delle persone. Nello sport non si può fingere, si è se stessi fino in fondo, e pregi e difetti balzano agli occhi all’istante. No, non c’è solo una vena drammatica nel mio libro. Lo sport è come la vita, vincenti e perdenti, felici e infelici, e tutto si mescola. Nel libro ci sono racconti drammatici (Il Campione, Le Formiche rosse) ma anche racconti solari, storie finite bene (Le stelle di ghiaccio è un amore trovato, una storia d’amore che inizia, Acqua santa è una vocazione ritrovata, un percorso riconosciuto, Ognuno al suo posto è il riscatto dei più deboli e reietti, un nero operaio che diventa sindaco del paese).
In che arco di tempo sono stati scritti i racconti? Come li ha scelti?
Dopo la laurea ho avuto un periodo nel quale mi hanno impegnato molto il lavoro e la famiglia. Il tempo da dedicare alle passioni, e alla scrittura in particolare, così è ridotto notevolmente. Prima il dovere e poi il piacere. Il materiale quindi si è accumulato molto lentamente, nell’arco di una decina d’anni. Tutti i racconti che ho scritto sono stati inseriti nel libro. Ne ho scartato solo quattro, che non mi convincevano solo il profilo stilistico. Ma li riprenderò in mano per una futura, mi auguro, pubblicazione.
In un racconto parla di lei e della sua esperienza nel calcio: può riassumerla per i nostri lettori?
Ho cominciato a giocare a 10 anni nei ragazzi della Juventus, dopo un provino al Campo Combi di via Filadelfia. Una volta si faceva così, non c’erano le scuole calcio, dove prendono tutti basta pagare: si dovevano fare i “provini”.
Nella Juventus ho fatto le giovanili ma a 17 anni (maggio 1979) mi sono fratturato il femore della gamba destra durante un torneo notturno ad Abbiategrasso. Ho subito tre operazioni e la mia carriera era finita prima ancora che cominciasse.
Anzi c’era il rischio concreto che rimanessi zoppo per tutta la vita perché la frattura aveva leso una cartilagine di accrescimento. Ma la passione era tanta così ho ricominciato, ma il treno importante era passato e io non ci ero salito. Poi quattro anni di serie D (due anni ad Ivrea, Pinerolo–Orbassano) e tre anni in serie C (Alessandria). Poi mi sono laureato e ho cominciato subito a lavorare, non volevo rischiare di perdere anche quel treno. Conclusione: se mi rapporto alle aspettative di prima dell’incidente ho fatto poco, se mi rapporto al dopo ho fatto tanto ed anzi direi che sono un miracolato. E’ il classico bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, e come lo vedo dipende dal mio umore del momento.
Come ha scelto il titolo? Crede che il racconto a cui si riferisce riassuma bene i temi che affronta nel volume?
La scelta è venuta da sé. Volevo un titolo forte ed evocativo e Saluti da Buenos Aires è perfetto in questo senso. Si impone, si ricorda facilmente, è pieno di personalità. Poi è un omaggio alla letteratura sportiva (i libri più belli di calcio li ha scritti un argentino, Osvaldo Soriano) e a mia moglie, che è nata a Buenos Aires. No, il racconto non condensa le tematiche dell’intero libro, anzi direi che si staglia tra gli altri in modo autonomo ed originale lambendo temi reali, storici e sociali, come la dittatura militare in Argentina e il dramma dei desaparecidos.
Prossimi progetti?
Lo sport continua ad appassionarmi e la sfida continua. Ci sono ancora delle discipline sportive di cui non ho scritto nulla e che pure mi affascinano, anche per il loro valore simbolico. Voglio completare l’opera e sicuramente scriverò nuovi racconti, ma senza fretta, c’è ancora Saluti da Buenos Aires da accompagnare.
da: http://torino.blogosfere.it/2010/07/saluti-da-buenos-aires-intervista-allo-scrittore-torinese-teodoro-lorenzo.html
Dedico questo post al mio amico Stefano: che sarà sempre un calciatore :)
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