Libro Bianco 2014. Nuove strategie o esigenze economiche?

Creato il 09 luglio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Fabrizio Coticchia

L’elaborazione di un nuovo Libro Bianco rappresenta un momento importante per la ridefinizione della politica di Difesa italiana. Atteso da molti anni, sarà l’occasione per un capire cosa si devono aspettare le Forze Armate nel futuro, anche alla luce di oltre un decennio di impegno costante, dall’Afghanistan all’Iraq, dal Libano alla Libia. Il nuovo documento si limiterà semplicemente alla ristrutturazione dello strumento militare o promuoverà un nuovo modello di Difesa dopo anni di spending review e riforme parziali? Dall’analisi preliminare del dibatto corrente sembra che il governo, fortunatamente, propenda per la seconda ipotesi. È però ancora presto per avere una risposta definitiva. Al tempo stesso possiamo già sottolineare alcuni aspetti-chiave relativi al processo di trasformazione messo in moto dalla decisione di adottare un nuovo documento strategico nazionale.

Come: Il processo di elaborazione

Il primo fattore riguarda la modalità del percorso avviato, ovvero il “come” l’elaborazione del Libro Bianco sta andando avanti. Il coinvolgimento di alcuni esperti che hanno fornito preliminari suggerimenti accolti dal Ministero nell’elaborazione delle prime “Linee Guida” ai temi generali in materia di sicurezza e difesa (scenari globali, interessi nazionali e minacce) è un primo dato importante. La volontà politica del Ministro Pinotti sembra quella di condividere quanto possibile la riflessione strategica parallela alla definizione del Libro Bianco, coinvolgendo una vasta pluralità di attori. I prossimi mesi permetteranno allora di valutare appieno il grado di apertura di questo processo, osservando la modalità con la quale Parlamento, Forze Armate, società civile, esperti ed opinione pubblica sono stati effettivamente coinvolti. La definizione di una nuova dottrina non rappresenta soltanto una guida all’azione, ma anche l’occasione opportunità per promuovere la cultura strategica italiana, tradizionalmente sottosviluppata. Dopo anni di silenzio, disinteresse e vuota retorica, è ormai giunto il tempo che i temi della Difesa siano posti al centro del dibattito pubblico.

Perché: Fini e mezzi

Il secondo aspetto che emerge osservando i primi mesi che hanno seguito l’annuncio di un nuovo Libro Bianco è il legame fra dottrina e bilancio del comparto Difesa. Qui, il processo di adattamento fra mezzi e fini è naturalmente dinamico e interattivo, ma idealmente la dimensione dei mezzi (finanziari, in primo luogo) dovrebbe seguire la determinazione degli obiettivi, della mission. Questa era la premessa con cui il processo di riforma era iniziato. In altre parole, sarebbe opportuno concentrarsi sugli output (ovvero gli obiettivi che la politica di difesa intende raggiungere) prima che sui mezzi (come i programmi militari).

L’intensa attività militare sul campo e la crisi finanziaria sono due elementi che possono far pericolosamente tendere la bilancia sugli strumenti più che sugli obiettivi. La centralità del tema “F-35” nel dibattito sembra confermare questa tendenza. Riuscirà il Libro Bianco ad invertire la direzione intrapresa? Sebbene una valutazione complessiva, in fieri, non sia semplice, emergono alcune contraddizioni nelle scelte e negli prospettive adottate proprio in materia di budget.

In primo luogo, l’”Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma” della Commissione Difesa della Camera evidenzia la necessità di “razionalizzare e ridurre significativamente la quota di spese destinate agli armamenti”, mettendo in dubbio la possibilità che onerosi e complessi programmi come la “Forza NEC” vedano effettivamente la luce. Il documento finale dell’Indagine (7 Maggio 2014) richiede poi una “moratoria” del programma F-35, al fine di chiarire problemi tecnici e costi “con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto”. Ma le prospettive dell’esecutivo sembrano divergere da quanto espresso dalla sua maggioranza nelle conclusioni dell’indagine. Il Ministro Pinotti, per esempio, ha messo in luce i rischi derivanti dallo stallo del programma F-35 e delle potenziali conseguenze negative dall’attuale fase di “congelamento” in termini di riduzione della “curva di apprendimento” del sistema produttivo (a causa della moratoria non acquisiremmo cioè le capacità tecniche rischiando di farci sorpassare da altri). L’alternativa potrebbe essere quella richiedere un incremento dei carichi di lavoro futuri a Cameri per compensare le riduzioni attuali. Cosa non semplice se si ridurranno le unità complessivamente acquisite.

L’altra contraddizione attiene alla spending review. Le parole del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, che individua invece un “benchmark di spesa” per la difesa maggiore a quello dell’area Euro, e suggerisce di tagliare tale differenza (circa 3 miliardi di euro), rendono ancora più evidente l’incompatibilità fra salvaguardare assetti rilevanti (a livello operativo e industriale)  e dinamica complessiva di riduzione della spesa. Qui ci sono due problemi. Il primo è che la riduzione proposta dal Commissario è basata su un’analisi le cui premesse di metodo non sono necessariamente convincenti. Comparare la spesa per la Difesa non è un esercizio semplice. Quale che sia la preferenza di policy, tagliare o meno, una più ampia ricognizione del perimetro e della qualità della spesa nel settore aiuterebbe. Il secondo elemento è che le due voci – quella dell’Esecutivo e del Commissario – non appaiono così in sintonia.  Dunque: si taglia e poi si pensa a cosa si vuole fare o, come sembrava all’inizio (e come suggerisce il Ministro), si fa il contrario?

Al di là delle sopracitate contraddizioni, un punto in comune emerge nel dibattito corrente: l’ampia condivisione relativa all’insostenibilità dell’attuale strumento militare (con un budget tutto sbilanciato sulle spese per il personale a detrimento di quelle per l’esercizio) e alla necessità di porre fine alle inefficienze di quella forza armata stanziale che abbiamo ereditato dalla Guerra Fredda.

Dove: Le missioni militari

Infine, il terzo elemento rilevante che precede e accompagna il processo che sta portando all’elaborazione di un nuovo Libro Bianco è quello delle missioni militari internazionali. Quali le aree-chiave per l’Italia nel prossimo futuro? La fine dell’operazione ISAF in Afghanistan rappresenta un momento di svolta anche per la politica di difesa italiana, che dovrà ripensare la propria collocazione nello scenario regionale e internazionale. L’analisi dell’ultimo decreto legge di rifinanziamento (per il secondo semestre del 2014) conferma la centralità dei Balcani e del Mediterraneo (Medio Oriente e Nord Africa), illustrando al contempo la rilevanza strategica di aree come Sahel e Corno d’Africa, nel quale nuove operazioni (principalmente di addestramento) vedono le forze armate italiane coinvolte (in numero estremamente limitato): da EUTM Mali e Somalia, a EUCAP Sahel. Le scelte più importanti del governo saranno però quelle del prossimo futuro, soprattutto nei confronti di due scenari rilevanti: quello libico (rispetto al quale vi è ancora molta incertezza, dettata anche dall’instabilità locale) e quello del Mar Mediterraneo, nel quale l’operazione “Mare Nostrum” ha bisogno di un volume finanziario sempre maggiore e di un diverso coinvolgimento dei partner europei. La condivisione a livello di UE dei compiti svolti finora dalla Marina rappresenta proprio uno degli obiettivi della politica estera e di difesa italiana nel prossimo semestre di presidenza.

Per concludere, c’è ancora da aspettare, per capire quali saranno le direzioni intraprese dal Libro Bianco, quali quelle di bilancio, e quali indirizzi saranno scelti per riorientare la presenza italiana in missioni internazionali.  Si può e si deve continuare a prestare attenzione al processo di trasformazione, perché mantenga come cardine la definizione del ruolo delle Forze Armate nei prossimi anni, anche attraverso una discussione seria sulla loro sostenibilità finanziaria e sulle potenziali esternalità del processo di procurement del settore Difesa in Italia. Evitare toni e argomenti di facile politicizzazione sul numero degli aerei, delle navi, e così via, permette – come è accaduto negli ultimi mesi – di condurre un dibattito più trasparente e, in definitiva, più produttivo.

* Fabrizio Coticchia, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, www.venusinarms.com

Photo credits: AP; Ministero della Difesa

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