Umor nero: chi non lo conosce? Tutti almeno una volta nella vita – qualcuno anche di più – ci siamo svegliati con quel senso di malinconia e tristezza, forse portandocelo dietro da una notte insonne o da una serata finita male. Anche lo stesso Gioseffo, speziale del Seicento protagonista di L’antidoto della malinconia, più volte ci si è trovato davanti e più volte ha cercato una via di fuga. Aihmè lui stesso scopre che non c’è modo di sottrarsi alla malinconia, se non attraverso la scrittura.
È capitato anche a voi, di trovare un minimo di sollievo nel mettere nero su bianco i vostri pensieri? A me spesso, soprattutto nell’adolescenza, quando i problemi della vita sembravano ostacoli insormontabili e l’unica valvola di sfogo era scrivere lettere interminabili, che puntualmente non venivano mai spedite, a destinatari inconsapevoli di essere la causa di tanto dolore.
Questa volta è Fabio Stassi a intervenire nella traduzione e a inserire il libro di Piero Meldini tra i rimedi letterari. Nel caso specifico, il malanno è quell’«attitudine alla tristezza che impregna ogni cosa e impone un contegno pensieroso e taciturno, una predisposizione allo sconforto, la coscienza inconsolabile dei propri limiti, della fragilità che ci modella, del niente che si è combinato sino a questo momento e del niente che forse si combinerà dopo…».
Nella medicina ippocratica, ci svela Stassi, «gli organismi erano costituiti da quattro umori fondamentali: sangue, bile, atrabile e flemma. La flemma era l’umore freddo e proveniva dal cervello; il sangue l’umore rosso e aveva la sede nel cuore; la bile gialla, o collera, si riteneva prodotta dal fegato; la bile nera, o atrabile, aveva invece il suo centro nella milza. Da questi quattro umori derivavano per gli antichi i quattro temperamenti principali nei quali si potevano catalogare tutti gli esseri umani: flemmatico, sanguigno, collerico e malinconico».
Voi in quale vi cataloghereste? Vi alzate spesso con l’umore a terra o siete tipi solari e positivi?