La Corte di Cassazione con sentenza n. 16925 del 3 agosto 2011 ha precisato che è estesa la tutela dei licenziamenti discriminatori a quello per ritorsione o per rappresaglia come reazione ingiusta ed arbitraria del datore di lavoro a comportamenti non graditi. Nel caso di specie un dipendente era stato licenziato nel febbraio del 2003 con motivazione riferita a crisi aziendale. Successivamente ricorreva al Tribunale di Palermo per far dichiarare la nullità del licenziamento perché intimatogli per ritorsione alla sua richiesta di pagamento di lavoro straordinario. Il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno. Questa decisione è stata confermata in appello dalla Corte di Palermo. L’azienda aveva giustificato il licenziamento con la necessità di procedere a un riassetto organizzativo imposto dalla crisi economica che aveva fatto diminuire gli ordini. La giustificazione addotta dall'azienda è stata ritenuta "palesemente pretestuosa" in considerazione dell’assunzione di un nuovo dipendente, avvenuta pochi mesi prima del licenziamento contestato, adibito prevalentemente alle stesse mansioni dell’operaio allontanato.Seppur ribadendo l’impossibilità da parte del giudice di dare giudizi sull'opportunità della scelta dell’imprenditore di sopprimere un settore lavorativo, un reparto o un posto, la Cassazione sottolinea il compito del magistrato di valutare la reale sussistenza delle ragioni poste alla base della soluzione adottata e verificare “l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Inoltre la Corte ricorda che anche in presenza di un giustificato motivo, che nel caso in esame mancava, l’impresa ha l’onere di provare l’oggettiva impossibilità di utilizzare il dipendente in un altro settore.La Suprema Corte, verificata la natura ritorsiva del licenziamento, ha dunque obbligato la società ricorrente a riassumere il dipendente pagandogli sia gli stipendi maturati dal giorno del licenziamento ingiustificato sia lo straordinario e i permessi.
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La Corte di Cassazione con sentenza n. 16925 del 3 agosto 2011 ha precisato che è estesa la tutela dei licenziamenti discriminatori a quello per ritorsione o per rappresaglia come reazione ingiusta ed arbitraria del datore di lavoro a comportamenti non graditi. Nel caso di specie un dipendente era stato licenziato nel febbraio del 2003 con motivazione riferita a crisi aziendale. Successivamente ricorreva al Tribunale di Palermo per far dichiarare la nullità del licenziamento perché intimatogli per ritorsione alla sua richiesta di pagamento di lavoro straordinario. Il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno. Questa decisione è stata confermata in appello dalla Corte di Palermo. L’azienda aveva giustificato il licenziamento con la necessità di procedere a un riassetto organizzativo imposto dalla crisi economica che aveva fatto diminuire gli ordini. La giustificazione addotta dall'azienda è stata ritenuta "palesemente pretestuosa" in considerazione dell’assunzione di un nuovo dipendente, avvenuta pochi mesi prima del licenziamento contestato, adibito prevalentemente alle stesse mansioni dell’operaio allontanato.Seppur ribadendo l’impossibilità da parte del giudice di dare giudizi sull'opportunità della scelta dell’imprenditore di sopprimere un settore lavorativo, un reparto o un posto, la Cassazione sottolinea il compito del magistrato di valutare la reale sussistenza delle ragioni poste alla base della soluzione adottata e verificare “l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato”. Inoltre la Corte ricorda che anche in presenza di un giustificato motivo, che nel caso in esame mancava, l’impresa ha l’onere di provare l’oggettiva impossibilità di utilizzare il dipendente in un altro settore.La Suprema Corte, verificata la natura ritorsiva del licenziamento, ha dunque obbligato la società ricorrente a riassumere il dipendente pagandogli sia gli stipendi maturati dal giorno del licenziamento ingiustificato sia lo straordinario e i permessi.
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