Licenziate Marchionne!

Da Postillanea @CarmineTomeo

Rispondendo ad una intervista di Ezio Mauro per Repubblica, Marchionne cala definitivamente il sipario sul teatrino Fabbrica Italia. Che questo fosse una rappresentazione nella quale si scimmiottavano veri piani industriali era evidente. Si parlava (ché di documenti non ce n’è mai stata nemmeno l’ombra) di più che raddoppiare la produzione, portandola a 1.400.000 unità entro il 2014. Allo scopo sarebbero stati investiti qualcosa come 20 miliardi di euro.
Ora Marchionne dice senza mezzi termini che quel piano non è più sostenibile. L’Ad Fiat dichiara a Repubblica che non se la sente «di investire in un mercato tramortito dalla crisi». Le auto non si vendono perché, dice Marchionne, improvvisamente folgorato sulla via che conduce al baratro, «la gente non ha più potere d'acquisto, magari ha perso il lavoro, i risparmi se ne sono andati, non ha prospettive per il futuro. Ci rendiamo conto?». (Nota retorica, ma necessaria: i lavoratori di Termini Imerese, quelli dell’Iribus, quelli di Pomigliano e migliaia e migliaia di altri lavoratori se ne sono resi conto da molto tempo. Diamo il benvenuto nella realtà a Sergio Marchionne). Non se n’era accorto, l’Ad Fiat, che quando annunciò il piano Fabbrica Italia la crisi era scoppiata già da un paio d’anni ed era stata da tempo definita come la peggiore dal 1929? Certo, ma il manager italo-canadese, nel lanciare il piano Fabbrica Italia, aveva puntato «su un mercato che reggeva». Diciamo che Marchionne non può vantare doti di lungimiranza. E quei 20 miliardi di investimenti, che non aveva, disse in un’intervista a Report del marzo 2011 ricordata da Francesco Paternò su Il Manifesto, li avrebbe dovuti fare «vendendo macchine». Un qualsiasi foglio di calcolo darebbe un errore di “riferimento circolare”; per Marchionne pare fosse una strategia di mercato.
Viste le virtù manageriali dell’Ad Fiat, non ci si poteva che aspettare la seguente risposta, all’osservazione che «altri produttori europei continuano a sfornare modelli», nonostante operino nello stesso mercato Fiat: «Con un modello nuovo, nelle condizioni di oggi, magari avrei venduto trentamila macchine di più, glielo concedo. Ma magari, mi conceda lei, avrei perso due miliardi di più». Questa a Marchionne la concediamo, ma solo in parte e vediamo perché. Intanto è bene osservare che i produttori di auto che detengono le maggiori quote di mercato europeo, sono anche le case automobilistiche che hanno lanciato sul mercato nuovi modelli. Tanto per fare qualche esempio solo per il 2012: il gruppo Volkswagen (cui fanno parte Audi, Seat ed altri marchi), che detiene il 24% delle quote di mercato europeo dell’auto, ha sfornato solo con il marchio Volkswagen ben sette nuovi modelli; il gruppo PSA (Peugeot, Citroen) ha lanciato otto nuovi modelli e due restyling e detiene il 12% del mercato europeo; Opel si accaparra l’8,3% della torta ed ha progettato sei nuovi modelli. Fiat, che di quote di mercato continua a perderne in maniera drammatica, ha lanciato la 500L ed il restyling della Panda. Una vera e propria rinuncia a stare sul mercato.
Dicevamo, possiamo concedere a Marchionne la considerazione dal lancio di nuovi modelli Fiat avrebbe perso molti soldi, pure se avesse venduto migliaia di auto in più. Ma anche in questo caso il manager Fiat non è privo di responsabilità. Un rapporto firmato dagli analisti di Morgan Stanley diffuso qualche settimana fa, considerava Volkswagen un'eccezionale opportunità di investimento a lungo termine; Fiat risultava essere la società automobilistica peggio piazzata. Il motivo della pessima affidabilità di Fiat, secondo gli analisti, sarebbe dovuta a posizioni finanziarie non eccellenti ed alla scarsa varietà di modelli. Non basta, Fiat, insieme a PSA, detiene il record negativo del rapporto prezzo/utili. Quest’ultimo aspetto è stato sottolineato anche in una ricerca del Center of Automotive Research (Car) dell'Università di Duisburg-Essen. Segnalata in un articolo della fine di agosto dell’agenzia di stampa Reuters, la ricerca mostra che per ogni veicolo venduto Fiat perde 142 euro. Allo stesso tempo Volkswagen guadagna 916 euro ogni auto che vende ed il gruppo fa meglio con il marchio Audi, con il quale guadagna ben 4.242 euro a vettura venduta.
Se questa è la condizione è chiaro che l’operaio che sta alle presse o alla lastratura c’entra davvero niente con la crisi Fiat. La politica di Marchionne, sostenuta nei fatti dal governo Monti, volta a padroneggiare in fabbrica per abbassare il costo del lavoro, intensificando allo stremo delle forze operaie i ritmi di produzione e puntando di fatto alla riduzione dei salari, non solo è inutile ma risulta controproducente. Attraverso quella strada si può contare di produrre auto a basso costo e perciò basso valore aggiunto, mettendosi in concorrenza con le produzioni dei mercati emergenti. Ma si tratta, nei fatti, di un vero e proprio suicidio.
Insomma, a guardare i risultati parrebbe che l’investimento prioritario di Fiat dovrebbe essere il licenziamento per giusta causa di Sergio Marchionne.

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