LIFESTYLE | Il masochismo ovvero amare un artista

Creato il 01 marzo 2015 da Siboney2046 @siboney2046

È cosa nota e universalmente riconosciuta che io ho un talento unico nel suo genere: scelgo sempre gli uomini sbagliati. C’è chi è un’ottima cuoca, chi ha buon gusto nel vestire e chi, tra una miriade di potenziali compagni perfetti sceglie sempre l’unico che non lo è. Modestamente mi vanto anche della cosa perché, diciamocelo, non è proprio da tutti! Tuttavia, nonostante l’alta stima che ho di questa mia singolare capacità, alla tenera età di quasi trent’anni, ho capito che forse è il caso di prendere una direzione, quindi, se devo perpetrare la mia costante scelta sbagliata, pretendo almeno che il soggetto abbia una valida motivazione per esserlo: se devo stare con un egocentrico narcisista deve averne il motivo, tipo deve essere minimo una rockstar, un attore di Hollywood o almeno uno scultore che espone al MOMA.

Fin dall’infanzia ho avuto una triste consapevolezza: «sebbene dotato dell’indole tetra del genio, mancava di originalità e lo sapeva»*, ovvero, ho sempre avuto un’estrema inclinazione verso l’arte ma non sono mai stata fornita di alcun talento artistico (ma proprio nessuno, musica, letteratura, pittura, danza… NESSUNO!). Come ovviare a questo deficit davvero importante nella mia modesta vita se non trovare una dolce metà della mela impregnata di una qualsiasi propensione all’arte? Penso sia davvero la soluzione perfetta! Del tipo che un giorno potrei vantarmi che qualcuno ha scritto “you electrify my life” pensando a me, o che mi ha immortalato in un eterno dipinto, cioè, no cazzate!

La scelta di un uomo artista poi mi sarebbe facilmente sopportabile giacché ho un’ammirevole capacità di convivere con narcisisti che amano solo se stessi o quello che fanno. Oserei quasi dire che godo del masochismo di vivere relazioni a tre con il mio uomo ed il suo ingombrante ego. E cosa c’è di più tronfio di un vero artista? Se potessi sceglierei opterei per un musicista, poiché la mia cultura in tal senso è così elementare che nel male potrei almeno imparare qualcosa. Non ho particolari preferenze in questo senso (sarà per la suddetta ignoranza), ma se proprio dovessi scegliere opterei per un pianista o per una rockstar. Il primo perché affascina il mio immaginario fin dall’infanzia (e già me lo vedo non cagarmi per tipo due settimane mentre compone: “Scusa, amore, sto creando”, “Scusa a te, tesoro, torno a stirare”), il secondo perché in genere è attorniato da crocchi di groupies che giustifica con un “baby, è il prezzo del successo” e a quel punto io, povera comune mortale priva di qualsiasi disposizione artistica non posso che alzare le mani e riconoscere la mia inferiorità: allora sei meglio tu!

Tuttavia, chi mi conosce bene sa che ho una patologica ossessione per gli architetti, depositari di un’imperitura alterigia, che si sentono delle archistar per il significativo fatto di saper maneggiare un tecnigrafo. L’architetto fa dell’autoreferenzialità uno stile di vita, obbligando i circostanti poveri inetti, che per ovvie ragioni accademiche non possono aspirare al Pritzker, a scontrarsi con la loro inettitudine poiché non sanno distinguere una lesena da una parasta.  Dura è la vita delle compagne degli architetti che saranno sempre posposte a loro stessi ed al loro lavoro, i due unici grandi amori che hanno. Voi potrete anche essere cardiochirurghi,  mamme di tre gemelli e perfette amanti, ma loro saranno sempre più impegnati di voi. Questo è forse il motivo per cui in genere un architetto finisce sempre per accoppiarsi con una collega architetto avente le stesse priorità nella vita, sulle basi di un equilibrio instabile disturbato dalla soglia di tolleranza dei reciproci ego.

Certo l’ideale sarebbe innamorarsi di uno scrittore, di quelli veri, che scrivono libri, non che hanno blog, o che scrivono penosi status su Facebook e sono assurti a depositari di una saggezza letteraria ormai tramontata. Tuttavia, non essendo più fine Ottocento, trovare degli scrittori veri è diventato pressoché impossibile. E sebbene sia anche incuriosita dal conoscere Julian Montague per chiedergli da dove gli è venuta l’idea di scrivere The Stray Shopping Carts of Eastern North America: A Guide to Field Identification, ambisco ancora ad innamorarmi di un Tolstoj, un Nabokov o un Marquez, senza nulla togliere all’indiscutibile talento di Julian.

Eppure la categoria professionale più egocentrica è forse quella degli intellettuali. Chissà che lavoro è l’intellettuale. In genere l’intellettuale SA. Cosa non è ben chiaro, in genere tutto. Si interessa di tutto e di tutti e fa pesare il proprio interesse e la propria mole di conoscenza ad ogni occasione ed è artista non tanto perché esprime la sua attitudine all’arte in qualche modo ma perché la possiede punto e basta. L’intellettuale è la quintessenza dell’egotismo: ha un’opinione su tutto, la esprime in maniera meticolosa e con il supporto di una logica schiacciante; cerca di sedurre con il suo sapere, ma parte in un volo pindarico in cui finisce per autocompiacersi di aver sedotto solo se stesso. Presenzia a tutte le mostre, i vernissage, i concerti, le prime teatrali o cinematografiche, gli eventi mondani e quelli di nicchia e sa sempre cosa dire ad ognuna delle diverse occasioni. L’intellettuale è un mostro. Forse è l’unico “artista” che nemmeno la mia indole masochista potrebbe tollerare, per il semplice fatto che aborro chi ha un’opinione su tutto.

Detto ciò a pensarci bene forse è il caso che inizi ad innamorarmi di un falegname che sappia aggiustare le mensole della cucina o di un informatico che sappia aggiustarmi il pc quando va in crash o di un meccanico che mi gonfi le ruote della macchina quando nota che sono sgonfie (perché io sicuro non me ne accorgerò mai)!

*V. Nabokov, Pnin, 1957


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