Album: Lightning Bolt
Arista: Pearl Jam
Anno: 2013
Durata: 47 m. : 06 s.
Recensione: Per fortuna è uscito un altro disco dei Pearl Jam.E’ la prima cosa che penso a ogni loro nuova fatica… che bello che nella discontinuità dei giorni e delle intenzioni ci sia qualcuno che ci tenga a resistere, a tenere le briglie del discorso e dei suoni, qualcuno che abbia voglia di continuare a tracciare una strada.
Ho incominciato ad amarli dal secondo album, “Versus”, passata la smania grunge di “Ten”. A mio modo sono cresciuto con le loro note in sottofondo e ho sempre avuto il sospetto di essere di fronte a una Band in senso universale, e non emarginata con l’etichetta -grunge- o -rock- o peggio ancora -alternative-
“Lightning Bolt” è l’ennesima conferma di questo sospetto. Certo non c’è niente di nuovo sotto il sole. Certo, come dicono in tanti, non c’è più la rabbia degli anni ’90… certo, i suoni sono sempre quelli, e allora?
Allora evviva! Finalmente una cosa che non cambia i connotati da mattina a sera, ma semplicemente invecchia, come tutti su questo mondo.
L’apertura del disco è affidata a tre canzoni affilate come rasoi, soprattutto il primo singolo estratto, “Mind your manners” che è talmente selvaggia da non far rimpiangere per niente la mitica “Spin the black circle” contenuta in quel capolavoro che è “Vitalogy”.
Dopo parte il pezzo da novanta, la canzone che vale da sola i soldi del cd, “Sirens”.
Davanti all’andamento basso-batteria i pensieri iniziano a farsi belli, quando si aggiungono chitarre acustiche e elettriche si sente un nodo in gola.. e quando entra la voce di Vedder il gioco è fatto!
E grazie al cielo che i Pearl Jam sono invecchiati, così da regalarci meraviglie come queste… una canzone che fa tutt’uno con la storia di una vita intera, lacrime e sorrisi e tutto quello che sta tra i due, una compagna di viaggio irrinunciabile. Una canzone che ognuno di noi ha sempre avuto nel dna e che ora finalmente qualcuno ha avuto il talento di esplicitare.
Eddie Vedder è ormai un punto fermo nella cultura americana, volente o nolente, dopo la colonna sonora di “Into the Wild” e del disco “Ukulele Songs”, è diventato matrice riconoscibile di un sound che ha trovato il consenso anche di chi non ha mai sopportato il suo gruppo. E’ inevitabile e giusto, dunque, che la vena pop, quella che ha messo d’accordo milioni di ascoltatori, sfoci in tutto quello che si farà in futuro. In molti casi questo diventa un ragionamento di marketing puro, tipo “squadra che vince non si cambia”… invece Vedder e i suoi sono riusciti a rendere il loro sound sì un po’ più pop, ma in maniera del tutto dignitosa, credibile, necessaria e decisamente bella!
Ne è la prova la traccia 10, “Sleeping by myself” appunto presa e rifatta dall’album solista di Vedder. Un pezzo così contiene in tre minuti tutto quello che è l’essenza e i colori di un viaggio che deve ancora iniziare. Fa venire una voglia matta di prendere il primo treno per nonsodove!
La title track si accompagna insieme ad altri tre pezzi nel limbo delle canzoni “mid tempo” dove si sente chiaramente la vena più melodica del gruppo. Degne di nota sono “Infallible” e “Pendulum” con un bellissimo gioco di delay sulle chitarre elettriche che fa da sfondo a tutto il pezzo. Pezzo che poi finisce addirittura con le chitarre classiche, sempre per smentire i puristi.
Chiude il tutto la ballata “Future Days” con tanto di pianoforte e violino, forse questa sì un po’ troppo mielosa, ma insomma, una voce così si fa perdonare queste piccolezze, e ben altro. Una voce che fa letteralmente volare.
Non c’è un voto per questo disco, è semplicemente un disco che bisogna avere, per chi ama la musica beninteso. Perchè è un disco senza artefatti, suonato dall’inizio alla fine con i muscoli sugli strumenti. Un disco che trasuda sinceramente la vita, la vita in questo autunno 2013, ed è per questo che è una fortuna averlo… per una questione di condivisione, oltre a ritrovare comunque tutta la tavolozza che da sempre contraddistingue i Pearl Jam. Con buona pace dei rockettari incalliti, di quelli che vorrebbero continuamente la reunion dei Guns n’ Roses, o di quelli che a un concerto di Mark Knopfler vogliono sentire solo “Sultans of Swing”… ecco i Pearl Jam sono sì sempre gli stessi, le chitarre elettriche graffiano sempre le pareti del cuore, ma inevitabilmente sono cresciuti, e si sente… ed è una gioia. Soprattutto perchè non lo nascondono in nessun modo, cosa tra l’altro molto pacificante. D’altronde chi è che a quarant’anni possiede la rabbia dei venti?
Ps: Arriveranno sicuramente presto in Italia, vederli sul palco è una di quelle situazioni dove, chi pensa che siano rammolliti, avrà modo di ricredersi.
Voto: 4,5
jonfen
Chi sonoScrittore in erba, molto in erba… troppo in erba!